In presenza di bonus quantitativi si concretizza una remunerazione dell'attività svolta in via ordinaria, per cui, al raggiungimento dell'obbiettivo, deriva un beneficio, che va assoggettato a Iva. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 20636 del 31 luglio 2019. IL FATTO Il caso trae origine da un avviso di accertamento emesso nei confronti di una società, concernente l'omesso assoggettamento ad Iva dei premi, sconti ed abbuoni di fine anno. Sia in primo che in secondo grado i giudici confermarono la legittimità dell'operato da parte dell'Ufficio. Avverso tale decisione la società ha proposto ricorso per cassazione, censurando la decisione della Ctr per avere escluso che la contribuente, quale fruitrice di bonus condizionati al raggiungimento di un obiettivo quantitativo, potesse emettere, nei confronti del fornitore e/o cedente, fatture senza l'esposizione dell'Iva. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso. Infatti, in materia di bonus o premi occorre distinguere tra (a) bonus quantitativi, ossia di erogazioni corrisposte a fronte dell'attività tipicamente svolta dal cliente/concessionario ed incidente direttamente sul volume d'affari dell'impresa fornitrice/concedente, e (b) bonus qualitativi, rispetto ai quali le erogazioni sono corrisposte non a fronte dell'attività tipicamente svolta dal cliente/concessionario, ma in relazione ad attività collaterali e distinte dalla prestazione principale, quali azioni dirette all'espansione delle vendite, lo svolgimento di attività di marketing ovvero di attività legate, direttamente o indirettamente, alla fidelizzazione della clientela; oltre a queste ipotesi, inoltre, la prassi operativa ha individuato anche (c) i bonus cd. misti, per i quali l'erogazione è condizionata al raggiungimento di obbiettivi di natura sia quantitativa che qualitativa (cfr. Cass., Sez. 5, 28.6.2017, n. 16128). La prima ipotesi (bonus quantitativi) si concretizza in una remunerazione della medesima attività svolta in via ordinaria: ne deriva, quanto a regime fiscale, l'applicazione dell'art. 26, comma 2, d.P.R. n. 633 del 1972, ossia del trattamento riservato agli abbuoni o sconti. Analoga conclusione vale, poi, per la terza ipotesi (cfr. Cass. n. 11398 del 2015) ove il riconoscimento dello sconto sia collegato ad obbligazioni qualitative non autonome ma funzionali alla realizzazione dell'obbiettivo quantitativo. Con riferimento alla seconda ipotesi (bonus qualitativi), invece, la prestazione è soggetta al regime ordinario qualora sussista un rapporto di corrispettività tra la somma corrisposta dal fornitore dei beni e lo svolgimento, da parte del soggetto percettore, di specifiche obbligazioni di fare, riconducibili alla categoria dei servizi, la cui definizione va ricercata nell'art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 633 cit. (che dispone "Costituiscono prestazioni di servizi le prestazioni verso corrispettivo dipendenti da contratti d'opera, appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e in genere da obbligazioni di fare, di non fare e di permettere quale ne sia la fonte"). Orbene, nel caso di specie la Ctr ha ritenuto che si versasse in presenza di bonus cd. quantitativi e ne ha, pertanto, tratto la conseguenza per cui "al raggiungimento di tale obbiettivo deriva un beneficio all'acquirente (società appellante), che per sua natura va sottoposto a tassazione Iva (...) la società appellante ha erroneamente fatto ricorso all'emissione di una fattura senza applicazione dell'Iva, poiché avrebbe dovuto ricevere una nota di credito (con esposizione dell'Iva relativa), per l'importo del premio maturato sul quantitativo di acquisti effettuati (...) a nulla rilevando gli accordi intercorsi tra le parti". Tale motivazione - osservano gli Ermellini - è conforme a quanto prescritto dal cit. art. 26, che impone ad entrambe le parti dell'operazione l'adempimento di specifici oneri formali volti, sostanzialmente, a "modificare ex post" i dati - relativi al corrispettivo ed alla imposta liquidata (cfr. l'art. 21, comma 2, lett. c) ed e) del d.P.R. n. 633 del 1972) - indicati nella originaria fattura, mediante la rappresentazione meramente contabile di una operazione inversa, in cui il cedente/prestatore emette una c.d. "nota di accredito" a favore del cessionario/committente, con indicazione dell'importo corrispondente alla riduzione di prezzo praticata, sul quale liquida l'imposta, con applicazione della medesima aliquota Iva indicata nella originaria fattura, sì da precostituirsi il titolo cartolare idoneo a portare in detrazione - assumendo figurativamente la posizione del cessionario/committente - l'imposta liquidata nella nota di credito; il cedente/prestatore, infatti, deve annotare la variazione nel proprio registro degli acquisti (ai sensi dell'art. 25 del d.P.R. n. 633 del 1972), come se si trattasse di una fattura passiva, mentre il cessionario/committente che riceve la nota di credito, deve annotare la variazione nel proprio registro fatture o dei corrispettivi (cfr. gli artt. 23 e 24 del d.P.R. n. 633 del 1972).