Il ricorso ai buoni pasto (ticket restaurant) costituisce una soluzione vantaggiosa sia per i datori di lavoro sia per i dipendenti: consente, infatti, di riconoscere a questi ultimi un incremento reddituale in natura detassato (entro certi limiti) mentre i relativi costi sono integralmente deducibili per il datore di lavoro. Il datore di lavoro, anche se di medie-piccole dimensioni (purché non forfetario), può riconoscere ai dipendenti un’integrazione della retribuzione che, essendo esclusa dalla base imponibile fiscale e contributiva del dipendente, consente un risparmio complessivo che si traduce in un maggior potere d’acquisto per il dipendente rispetto alla scelta di erogare, in assenza di mensa aziendale, un’indennità in denaro in busta paga. Chi Persone fisiche titolari di partita IVA (lavoratori autonomi, professionisti, imprenditori individuali), esclusi i soggetti che si avvalgono del regime forfetario e persone giuridiche (società), che attribuiscono buoni pasto ai propri dipendenti. Cosa I buoni pasto possono essere erogati dal datore di lavoro ai suoi dipendenti, sia con contratto part-time, sia full-time sia in smart working (risposta a interpello 22 febbraio 2021, n. 123). Inoltre, possono esser erogati anche ai soggetti con rapporti di collaborazione. L’allegato II.17 al D.Lgs. n. 36/2023 (che ha sostituto, con decorrenza 1° luglio 2023, il D.M. n. 122/2017) definisce il buono pasto come “il documento di legittimazione, anche in forma elettronica, avente le caratteristiche di cui all'articolo 4, che attribuisce, al titolare, ai sensi dell'articolo 2002 del Codice civile, il diritto a ottenere il servizio sostitutivo di mensa per un importo pari al valore facciale del buono e, all'esercizio convenzionato, il mezzo per provare l'avvenuta prestazione nei confronti delle società di emissione” (art. 2). L’art. 4 prevede che i buoni pasto (tra l’altro): - consentono al titolare di ricevere un servizio sostitutivo di mensa di importo pari al valore facciale del buono pasto; - devono essere utilizzati esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale, anche qualora l'orario di lavoro non preveda una pausa per il pasto, nonché dai soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione anche non subordinato; - non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite di otto buoni, né commercializzabili o convertibili in denaro e sono utilizzabili solo dal titolare; - sono utilizzabili esclusivamente per l'intero valore facciale. Inoltre, i buoni pasto in forma cartacea devono riportare: il codice fiscale o la ragione sociale del datore di lavoro; la ragione sociale e il codice fiscale della società di emissione; il valore facciale espresso in valuta corrente; il termine temporale di utilizzo; uno spazio riservato alla apposizione della data di utilizzo, della firma del titolare e del timbro dell'esercizio convenzionato presso il quale il buono pasto viene utilizzato; la dicitura: “Il buono pasto non è cedibile, né cumulabile oltre il limite di otto buoni, né commercializzabile o convertibile in denaro; può essere utilizzato solo se datato e sottoscritto dal titolare”. Nei buoni pasto in forma elettronica tali indicazioni sono associate elettronicamente ai medesimi in fase di memorizzazione sul relativo carnet elettronico; la data di utilizzo del buono pasto e i dati identificativi dell'esercizio convenzionato presso il quale il medesimo è utilizzato sono associati elettronicamente al buono pasto in fase di utilizzo mentre l'obbligo di firma del titolare del buono pasto è assolto associando, nei dati del buono pasto memorizzati sul relativo supporto informatico, un numero o un codice identificativo riconducibile al titolare stesso. Per il datore di lavoro i costi sostenuti per fornire il pasto ai propri dipendenti durante l’attività lavorativa sono deducibili dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo a prescindere dalla forma utilizzata (articoli 54, comma 1 e 95, comma 1, TUIR; circolare 3 marzo 2009, n. 6, risposta n. 8). Per i dipendenti sono previsti precisi limiti all’imponibilità di queste spese nei confronti dei lavoratori dipendenti, a seconda del metodo utilizzato. L’art. 51, comma 2, lettera c), TUIR prevede che non costituiscono redditi di lavoro dipendente, le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto (buoni pasto) fino all'importo complessivo giornaliero di 4 euro, aumentato a 8 euro nel caso in cui le stesse siano rese in forma elettronica. In virtù del principio dell’armonizzazione delle basi imponibili fiscale e previdenziale, i buoni pasto, entro i predetti limiti, non concorrono alla determinazione della base imponibile contributiva (art. 12, legge n. 153/1969). L’esclusione da tassazione dei buoni pasto e dell’indennità sostitutiva di mensa sussiste solo laddove i benefici siano offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee di lavoratori (circolare 23 dicembre 1997, n. 326; circolare 16 luglio 1998, n. 188). Ben diverso è il caso in cui il datore di lavoro decidesse di inserire l’indennità sostitutiva di mensa in busta paga, come forma di integrazione della retribuzione del dipendente. In tal caso, infatti, le somme sarebbero integralmente soggette a tassazione contributiva e fiscale. Per quanto concerne l’IVA, l’imposta addebitata dalla società che emette i buoni pasto (aliquota 4%) è interamente detraibile (art. 19-bis1, comma 1, lettera e, come modificato dall’art. 83, comma 28-bis, D.L. n. 112/2008, per eliminare il contrasto tra la normativa nazionale e l’art. 168 della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006). Nel caso in cui il datore di lavoro decidesse di erogare buoni pasto che hanno un valore facciale superiore alla soglia di esenzione fiscale, la quota eccedente concorrerebbe “alla formazione del reddito di lavoro dipendente” (circolare 15 giugno 2016, n. 28/E, par. 2.5.2; risposta a interpello 24 aprile 2020, n. 122) e alla base imponibile previdenziale, su cui il datore di lavoro deve operare le relative trattenute. Inoltre, l’importo eccedente non potrebbe “essere considerato assorbibile dalla franchigia di esenzione prevista dal comma 3 dell’art. 51” e, quindi, l’eccedenza concorrerebbe integralmente alla formazione del reddito di lavoro dipendente (risoluzione 29 marzo 2010, n. 26/E). Come Per il datore di lavoro le spese sostenute per l’acquisto dei ticket restaurant assegnati ai propri dipendenti rappresentano un costo per l’acquisizione di un servizio complesso non riducibile alla semplice somministrazione di alimenti e bevande. Quando Ai sensi dell’art. 51, comma 1, TUIR, si considerano percepiti nel periodo d’imposta anche le somme e i valori corrisposti entro il 12 gennaio del periodo d’imposta successivo a quello a cui si riferiscono (principio di cassa allargato). Sulla base al principio di cassa, che presiede alla determinazione del reddito di lavoro dipendente, la retribuzione deve essere imputata in relazione al momento di effettiva percezione della stessa da parte del lavoratore e il momento di percezione è quello in cui il provento esce dalla sfera di disponibilità dell’erogante per entrare nel compendio patrimoniale del percettore (risoluzione 14 agosto 2020, n. 46/E; circolare 23 dicembre 1997, n. 326). Tale principio si applica sia con riferimento alle erogazioni in denaro, sia con riferimento alle erogazioni in natura mediante l’assegnazione di beni o servizi (circolare 14 luglio 2022, n. 27/E, par. 2). In tema di benefit erogati mediante voucher è stato precisato che il benefit si considera percepito dal dipendente e assume quindi rilevanza reddituale, nel momento in cui tale utilità entra nella disponibilità del lavoratore, a prescindere dal fatto che il servizio venga fruito in un momento successivo (circolare 29 marzo 2018, n. 5/E). Calcola il risparmio Mediante il ricorso ai buoni pasto, il datore di lavoro, anche se di medie-piccole dimensioni (purché non forfetario), può riconoscere ai dipendenti un’integrazione della retribuzione che, essendo esclusa dalla base imponibile fiscale e contributiva del dipendente medesimo, consente un risparmio complessivo che si traduce in un maggior potere d’acquisto per il dipendente rispetto alla scelta di erogare, in assenza di mensa aziendale, un’indennità in denaro in busta paga. Risparmio % Caso n. 1 Un datore di lavoro persona fisica con partita IVA assegna ai dipendenti buoni pasto elettronici del valore facciale di 8 euro. I buoni pasto sono 255 all’anno. Valore del benefit: 2.040 (8 x 255) Tale valore è escluso da IRPEF e dalla base imponibile contributiva. Pertanto, per il dipendente si tratta di un’integrazione effettiva della retribuzione. Per il datore di lavoro il costo è integralmente deducibile. Ipotizzando che per il datore di lavoro l’aliquota marginale sia pari al 43% (oltre a IRAP del 3,9%), il costo effettivo dei buoni pasto è pari a: - costo: 2.040 - risparmio fiscale: 956,76 (2.040 x 46,9%) - costo effettivo: 1.083,24. In pratica, quindi, con una spesa pari a 1.083,24 il datore di lavoro ha incrementato la retribuzione dei dipendenti per un importo di 2.040 euro (incremento retribuzione/spesa: 188%). Caso n. 2 Un datore di lavoro persona fisica con partita IVA assegna ai dipendenti buoni pasto cartacei del valore facciale di 8 euro. I buoni pasto sono 255 all’anno. Valore del benefit: 2.040 (8 x 255) Valore del benefit escluso da imposte: 1.020 (4 x 255) Valore del benefit soggetto a IRPEF e a contribuzione: 1.020 (4 x 255) Oneri previdenziali sul benefit (si ipotizza un’aliquota del 31%): 316,20 (1.020 x 31%) Per il datore di lavoro il costo è integralmente deducibile. Ipotizzando che per il datore di lavoro l’aliquota marginale sia pari al 43% (oltre a IRAP del 3,9%), il costo effettivo dei buoni pasto è pari a: - costo: 2.040 + 316,20 = 2.356,20 - risparmio fiscale: 1.105 (2.356,20 x 46,9%) - costo effettivo: 1.273. Per il dipendente l’onere fiscale (ipotizzando un’aliquota marginale del 35%) e contributivo (ad esempio del 9%) sarà pari a: - onere contributivo: 91,8 (1.020 x 9%) - onere fiscale: 324,87 [(1.020 - 91,8) x 35%] - incremento effettivo: 1.623 (2.040 - 91,8 - 324,87) In pratica, quindi, con una spesa pari a 1.273 il datore di lavoro ha incrementato la retribuzione dei dipendenti per un importo di 1.623 euro (incremento retribuzione/spesa: 127,50%). Caso n. 3 Si ipotizzi il caso n. 2 con il datore di lavoro che inserisce in busta paga un’indennità sostitutiva di mensa equivalente al valore dei buoni pasto. In tal caso, le somme sono integralmente soggette a tassazione contributiva e fiscale. Valore dell’indennità in busta paga: 2.040 Oneri previdenziali sul benefit (si ipotizza un’aliquota del 31%): 632,40 (2.040 x 31%) Costo: 2.672,40 Per il datore di lavoro il costo è integralmente deducibile. Ipotizzando che per il datore di lavoro l’aliquota marginale sia pari al 43% (oltre a Irap del 3,9%), il costo effettivo dei buoni pasto è pari a: - costo: 2.672,40 - risparmio fiscale: 1.253,36 (2.672,40 x 46,9%) - costo effettivo: 1.419,04 Per il dipendente l’onere fiscale (ipotizzando un’aliquota marginale del 35%) e contributivo (ad esempio del 9%) sarà pari a: - onere contributivo: 183,6 (2.040 x 9%) - onere fiscale: 649,74 [(2.040-183,6) x 35%] - incremento effettivo: 1.206,66 (2.040 - 183,6 - 649,74) In pratica, quindi, con una spesa pari a 1.419,04 il datore di lavoro ha incrementato la retribuzione dei dipendenti per un importo di 1.206,66 euro (incremento retribuzione/spesa: 85%).