Al fine di dare maggiore certezza alle imprese sulla corretta maturazione dei crediti d’imposta Ricerca & sviluppo, è stata istituita una specifica certificazione finalizzata ad attestare la corretta “qualificazione degli investimenti effettuati o da effettuare ai fini della loro classificazione nell'ambito delle attività di ricerca e sviluppo, di innovazione tecnologica e di design e innovazione estetica ammissibili al beneficio” (cfr. art. 23, comma 2, D.L. n. 73/2022). Appare interessante approfondire la natura e i limiti della certificazione, al fine di individuare l’ampiezza della sua efficacia, quale “schermo” per eventuali controlli effettuati dall’Agenzia delle Entrate finalizzati a verificare la corretta maturazione del credito e delle conseguenti responsabilità per le sanzioni sia amministrative che penali. A cosa serve la certificazione? La certificazione dei crediti d’imposta, in base all’art. 23, comma 2, D.L. n. 73/2022, attesta “la qualificazione degli investimenti effettuati o da effettuare ai fini della loro classificazione nell'ambito delle attività di ricerca e sviluppo, di innovazione tecnologica e di design e innovazione estetica ammissibili al beneficio” e attesta, altresì, la “qualificazione delle attività di innovazione tecnologica finalizzate al raggiungimento di obiettivi di innovazione digitale 4.0 e di transizione ecologica ai fini dell’applicazione della maggiorazione dell’aliquota del credito d’imposta prevista dal quarto periodo del comma 2023”. In altre parole, in base al dettato normativo, appare evidente che la certificazione attiene esclusivamente al corretto inquadramento dei costi sostenuti e della loro rilevanza ai fini della maturazione del diritto al credito d’imposta o anche della sua maggiorazione al raggiungimento degli obbiettivi di innovazione digitale 4.0, ma non si estende alla verifica del corretto ammontare dei costi sostenuti e, conseguentemente, del corretto ammontare del credito d’imposta vantato e oggetto di compensazione. A conferma di ciò, in calce al modello di certificazione approvato con il Decreto direttoriale 5 giugno 2024 del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il rappresentante legale dell’impresa richiedente la certificazione si assume la responsabilità di aver ricevuto la certificazione e che le informazioni in essa riportate sono inerenti al progetto/sottoprogetto oggetto della stessa. Inoltre, il comma 4 dell’art. 23 dispone che, ferme restando le attività di controllo previste dal comma 207 dell'art. 1 della legge n. 160/2019, la certificazione esplica effetti vincolanti nei confronti dell'Amministrazione finanziaria, tranne nel caso in cui, sulla base di una non corretta rappresentazione dei fatti, la certificazione venga rilasciata per una attività diversa da quella concretamente realizzata. Quale protezione offre la certificazione? In altre parole, e in sintesi, si può affermare che la certificazione non protegge da eventuali rettifiche dell’Agenzia delle Entrate, solo quando: sono state effettuate spese aventi natura diversa da quella riportata nel progetto; il progetto realizzato è diverso da quello rappresentato ai certificatori per ottenere il “nullaosta” alla maturazione dei crediti; sono stati sostenuti costi di ammontare diverso da quello indicato nel progetto presentato per la certificazione. Indebita compensazione dei crediti Nelle ipotesi in cui si verifichino le fattispecie sopra indicate e si utilizzino i crediti per versare tributi in compensazione non vi è alcuna protezione dalla certificazione, esponendo l’impresa all’applicazione delle sanzioni amministrative tributarie per indebita compensazione di crediti inesistenti o non spettanti, ai sensi dell’art. 13, commi da 4 a 5, D.Lgs. n. 471/1997 - per la definizione di crediti inesistenti o non spettanti si rinvia all’art. 1, comma 1, lettere g-quater) e g-quinquies), D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74. Sanzione che, a seconda dei casi, varia da un minimo di 250 euro a un massimo del 140% dell’ammontare del credito inesistente o non spettante. Quando la sanzione amministrativa irrogata supera l’ammontare di 50.000 euro, la fattispecie sfocia in violazione penale di cui all’art. 10-quater del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, sia nelle ipotesi di crediti inesistente sia nelle ipotesi di credito non spettante. Nelle ipotesi di credito non spettante è prevista una pena che prevede la reclusione da sei mesi a due anni. I crediti non spettanti sono quelli maturati effettivamente, ma utilizzati in violazione della legge o per importi superiori a quelli spettanti ovvero i crediti che pur in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi, mancano di ulteriori elementi richiesti dalla norma o non siano stati eseguiti gli adempimenti amministrativi previsti a pena di decadenza (cfr. art. 1, comma 1, lettera g-quinquies, del D.Lgs. n. 74/2000). Nelle ipotesi di crediti inesistenti, invece, è prevista la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. I crediti sono inesistenti quando mancano i presupposti oggettivi o soggettivi ovvero anche quando i requisiti sono costruiti in modo fraudolento anche sulla base di una falsa documentazione (cfr art 1, c. 1, lett. g-quater) del D.Lgs n. 74/2000). Infine, occorre sottolineare che ai fini della rilevanza penale della violazione - oltre a superare il limite di punibilità di 50.000 euro di sanzioni irrogate - occorre che sia dimostrato il dolo nella commissione della violazione. Ossia che si possa dimostrare che la violazione sia stata consapevole e voluta. In altre parole, nessuna sanzione penalmente rilevante può essere comminata con la presenza con una mera colpa.