Il mercante di opere d'arte è imprenditore, anche senza organizzazione. Si distingue per l'abitualità dallo speculatore occasionale e dal collezionista “che acquista le opere per scopi culturali, con la finalità di incrementare la propria collezione e possedere l'opera, senza l'intento di rivenderla generando una plusvalenza, avendo interesse non tanto per il valore economico della res quanto per quello estetico-culturale, per il piacere che il possedere le opere genera, per l'interesse all'arte, per conoscere gli artisti, per vedere le mostre”. Lo afferma l'ordinanza n. 1603/2024 della Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso principale dell'Agenzia delle entrate (e il quarto motivo di quello incidentale presentato dal contribuente) contro la sentenza della Ctr Veneto n. 36/22/2015. Il contenzioso, che aveva a riguardo Irpef, Iva e Irap per gli anni 2004 e 2005, nasceva con la notifica al contribuente, un corniciaio veneto, di due avvisi di accertamento con i quali gli era stato contestato lo svolgimento di un'attività di commercio di opere d'arte. La tesi fu accolta dal giudice del territorio, che però aveva sancito la spettanza in capo al contribuente della deduzione di costi dell'80% dei ricavi determinati induttivamente. I giudici di legittimità osservano che “la legislazione fiscale e quella civilistica non sono coincidenti: l'art. 2082, cod. civ., considera imprenditore chi svolge un'attività economica organizzata in modo professionale, mentre l'art. 55 Tuir non richiede il requisito dell'organizzazione, ma il mero esercizio professionale e abituale delle attività di cui all'art. 2195 cod. civ., anche se non svolte in modo esclusivo”. Secondo il giudice del gravame l'attività svolta dal contribuente è stata svolta nel tempo e in forma non occasionale, non rilevando che sia stata svolta in modo non organizzato. L'Ufficio trova accolta la sua eccezione volta a ricomprendere nel volume d'affari del contribuente, non solo i ricavi determinati sulla base dei dati raccolti presso la società rivenditrice, ma anche quelli relativi agli importi desumibili dalle movimentazioni bancarie. La Suprema corte conferma la deduzione dei costi nella misura dell'80% dei ricavi, e, in accoglimento del ricorso incidentale del contribuente, escludono dall'Irap l'attività commerciale del mercante.