Il Codice dei contratti pubblici, non ancora a pieno regime, già oggetto di primi ritocchi. Il nuovo Codice dei contratti pubblici, ossia il D.Lgs. n. 36/2023, contiene un riferimento specifico alla promozione della parità di genere all’art. 108. Il decreto è stato però subito oggetto di correzione da parte del D.L. n. 57/2023, che ha eliminato il riferimento all’obbligo di verifica dell’attendibilità dell’autocertificazione con qualsiasi mezzo da parte della stazione appaltante. Il “vecchio” Codice dei contratti pubblici, ossia il D.Lgs. n. 50/2016, prevedeva che le stazioni appaltanti indicassero il punteggio premiante attribuito ai possessori della certificazione della parità di genere ai sensi della UNI PdR 125/2022 che definisce le linee guida sul Sistema di Gestione per la parità di genere e che prevede la strutturazione e adozione di un insieme di indicatori prestazionali (KPI) inerenti alle politiche di parità di genere nelle organizzazioni. Come si dimostrava la parità di genere prima del decreto Omnibus Il già citato nuovo Codice dei contratti, ossia il D.Lgs. n. 36/2023, all’art. 108, comma 7, stabilisce che le stazioni appaltanti prevedano un maggior punteggio da attribuire alle imprese che attestano, anche a mezzo di autocertificazione, il possesso dei requisiti di cui all’art. 46 bis, D.Lgs. 198/2006 (certificazione parità di genere) a tenore del quale è istituita la certificazione della parità di genere al fine di attestare le politiche e le misure concrete adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere in relazione alle opportunità di crescita in azienda, alla parità salariale a parità di mansioni, alle politiche di gestione delle differenze di genere e alla tutela della maternità. Come dimostrare il possesso dei requisiti che attestano la parità di genere Va evidenziato, in argomento, che con il comma 2 bis dell’art 6 del decreto Omnibus, (convertito nella legge n. 87/2023) che ha riscritto il quinto e sesto periodo del comma 7 dell’art. 108 del D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti pubblici), si dispone che i requisiti attestanti la parità di genere non possono essere più autocertificati, ma devono essere dimostrati mediante il possesso della certificazione della parità di genere di cui all’art. 46 bis del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna (D.Lgs. n. 198/2006). Pertanto, cambiano le modalità con cui un’impresa può dimostrare di adottare delle politiche per la parità tra i generi: non più il rispetto della UNI, un’attestazione rilasciata da un soggetto terzo e imparziale tramite un’autocertificazione fornita dall’azienda stessa, una modalità, questa, che non offre le stesse garanzie della certificazione rilasciata da parte della P.A. competente, lacuna, questa, colmata, per il tramite del decreto correttivo. In tal via, ossia per il tramite dell’adozione di un’autocertificazione, si sarebbe verificata una perdita di vantaggio nell’utilizzare la certificazione della parità di genere UNI nel passaggio da un Codice all’altro in quanto, mentre nel vecchio Codice si prevedeva uno sconto del 30% della cauzione non cumulabile con altre riduzioni, che l’operatore economico era chiamato a prestare per partecipare alle procedure di affidamento, nel nuovo codice la riduzione è fino a un massimo 20% cumulabile con altre riduzioni previste dal Codice, a fronte del possesso di “certificazioni o marchi”, tra cui quella relativa alla parità di genere, il cui elenco è contenuto nell’allegato II.13 ed in cui figura la Pdr 125/2022.