La giurisprudenza penale ha già avuto modo di precisare che integra il delitto di indebita compensazione, di cui all’art. 10-quater comma 2 del DLgs. 74/2000, il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito del c.d. “accollo fiscale” ove commesso attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale. L’art. 17 del DLgs. 241/1997, infatti, non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti. La sentenza n. 18037/2023 della Cassazione, riprende tale principio espresso dalla Suprema Corte con la pronuncia n. 1999/2018 in un procedimento in cui si trattava di una confisca applicata conseguentemente alla contestazione di tale reato tributario; confisca che risulta obbligatoria ai sensi di quanto oggi previsto dall’art. 12-bis del DLgs. 74/2000. I giudici di legittimità ricordano che la confisca diretta è rivolta a sottrarre al reo i beni che risultano “pertinenti” alla commissione del reato, in quanto costituenti profitto, ossia vantaggio economico dallo stesso derivante – anche ove acquisito con il reinvestimento delle somme illecitamente non versate al Fisco – o prezzo, quale controprestazione pagata per la sua commissione (così Cass. n. 4976/2022, che a sua volta richiama Cass. SS.UU. n. 10561/2014 e Cass. SS.UU. n. 10280/2008). La confisca per equivalente invece si caratterizza per il fatto di poter ricadere su beni che non hanno alcun rapporto con la pericolosità del bene o con quella individuale dell’autore del reato e che neppure presentano alcun collegamento diretto con l’illecito penale, onde non si richiede la prova della sussistenza di un nesso di pertinenzialità della cosa rispetto al reato, dovendo unicamente trattarsi di beni nella disponibilità dell’imputato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (Cass. n. 11902/2005). Tale fisionomia dell’istituto è, del resto, coerente con la ratio legis, perseguendo il legislatore l’obiettivo di privare il reo di un qualunque beneficio sul versante economico, nella convinzione della portata disincentivante di questa previsione sanzionatoria. Corollario della natura ancillare della confisca di valore rispetto a quella diretta è il fatto che il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente del prezzo o del profitto del reato è legittimamente adottato solo se, per una qualsivoglia ragione, i proventi dell’attività illecita non siano rinvenuti nella sfera giuridico-patrimoniale dell’indagato (Cass. n. 46500/2011). Ciò equivale a esigere, nel caso di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, che detti proventi non vengano rintracciati nella sfera patrimoniale dell’ente che ha tratto beneficio del profitto del reato e nel cui interesse il reato tributario è stato commesso. Le motivazioni della sentenza in commento passano poi ad analizzare le principali formulazioni giurisprudenziali in tema di profitto del reato, ribadendo che in tema di omesso versamento per effetto dell’indebita compensazione di crediti non spettanti o inesistenti, il profitto del reato è costituito dal risparmio di spesa corrispondente all’ammontare del tributo non versato, pari all’imposta evasa nella sua totalità (Cass. n. 46709/2018 e Cass. n. 6705/2015). Tutto ciò premesso viene ribadito, nel caso di specie, il fatto che il profitto del reato di cui all’art. 10-quater del DLgs. 74/2000 è pari all’indebita compensazione. Tale profitto è soggetto a confisca obbligatoria anche in caso di patteggiamento. Infatti, ai sensi dell’art. 12-bis del DLgs. 74/2000, nel caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti a norma dell’art. 444 c.p.p. per uno dei reati previsti dal medesimo decreto è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo. Le vicende successive del procedimento fiscale sono, invece, estranee al perimetro della fattispecie penale e, qualora accadimenti successivi al fatto dovessero far venir meno i presupposti per la confisca, può trovare applicazione quella giurisprudenza secondo cui l’integrale pagamento del debito tributario conduce alla non operatività della confisca, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso (Cass. n. 37748/2014). Pertanto, eventuali doglianze, relative alle sorti successive del profitto, concernono la “eseguibilità” della confisca e potranno quindi essere fatte valere dal condannato in sede esecutiva davanti al giudice dell’esecuzione (art. 676 c.p.p.), il quale provvederà eventualmente a revocare la disposta confisca con le forme del procedimento di esecuzione (art. 666 c.p.p.).