Il piano del consumatore “sovraindebitato” può essere omologato anche se sfora i cinque anni. L’ultima parola anche in caso di tempi più lunghi, spetta comunque ai creditori. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 27544 del 28 ottobre 2019, boccia – in nome di una seconda opportunità per gli imprenditori e i consumatori – un’interpretazione troppo restrittiva dell’ammissione alla procedura. Le maglie strette rischiano, infatti, di minare «l’effettività dello strumento, e mal si conciliano con il processo in atto a livello europeo di cambiamento della cultura giuridica a favore della logica del salvataggio e della seconda chance». A supporto della tesi “permissiva” la Corte di legittimità ricorda che la legge sul sovraindebitamento (3/2012) la cosiddetta salva suicidi, è stata introdotta non solo sulla spinta delle istituzioni europee, ma anche per arginare il fenomeno, frequente, del ricorso al mercato dell’usura e dunque al crimine organizzato. Partendo da questo presupposto i giudici della prima sezione civile, accolgono il ricorso contro la scelta del Tribunale di negare l’omologazione a causa dello sforamento del tetto dei 5 anni, in generale fissato dai principi che valgono per il concordato preventivo. Per la Suprema corte è «eccentrico» ipotizzare un divieto sostanziale di dilazione del debito in nome della ragionevole durata del processo, persino esecutivo. I giudici ammettono che prevedere tempi di adempimento molto lunghi, nello specifico 12 anni, potrebbe incidere sulla procedura di liquidazione del patrimonio e anche sull’obiettivo e dunque sull’esdebitazione. Ma è altrettanto vero che questo non basta per bocciare, in automatico, i piani di pagamento rateali in virtù dell’ ampio orizzonte temporale. Decisiva resta la valutazione della convenienza, sulla quale l’ultima parola va lasciata ai creditori. Sono, infatti, loro che devono valutare se, in un piano come quello indicato dal ricorrente, sia più o meno conveniente, rispetto ad altre possibili alternative. Mentre è certo che il potere di veto non spetta al Tribunale, a meno di non violare la ratio delle norme che regolano la materia. Non un trattamento di favore dunque, ma una nuova opportunità per gli imprenditori o i consumatori che si distinguono, come prevede la norma, per meritevolezza e che non abbiano causato il dissesto in mala fede o in modo fraudolento. Del resto il legislatore, per i crediti fiscali, prevede una moratoria molto più lunga dei termini fissati dalla legge Pinto.