La confisca di un immobile gravato da un mutuo fondiario (per 200mila euro, con ipoteca per 422mila), a seguito della commissione di reati tributari da parte del mutuatario (sentenza patteggiata), non pregiudica il credito della banca che abbia agito in «buona fede» e con «affidamento incolpevole». Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 38608 del 18 settembre 2019, accogliendo (con rinvio) il ricorso di Italfondiario, quale cessionario di Intesa Sanpaolo, contro l'ordinanza del Gip che invece gli aveva negato il diritto di partecipare in via privilegiata alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita dell'immobile. Per il Giudice dell'esecuzione la documentazione presentata dalla società non comprovava la buona fede della banca, «non essendo stato provato quale procedura sia stata seguita per la erogazione del credito, se standardizzata o meno, quali fossero i tempi e le modalità di gestione della pratica creditizia, quali fossero stati i controlli esegui sulla persona e sul reddito del debitore e quale sia stata la valutazione tecnica di stima dell'immobile rispetto al patrimonio del debitore e al valore erogato». Una lettura bocciata dalla Terza Sezione penale secondo cui la decisione «non ha chiarito, in concreto, quali elementi si siano rivelati idonei a escludere la buona fede e l'affidamento incolpevole dell'istituto bancario». All'epoca della stipula del mutuo (2008), infatti, prosegue la decisione, «non vi era alcuna evidenza di procedimenti penali a carico dell'imputata», essendo iniziati soltanto nel 2011, ovvero tre anni dopo l'operazione contrattuale. «Né - continua - risulta accertato se e in che termini la conoscenza dei reati tributari che sono poi risultati coevi alla stipula del mutuo fosse esigibile dalla Banca, non essendo noto il collegamento tra la concessione del finanziamento e delitti ascritti all'imputata, che in ogni caso sembrano riferiti alla società da lei amministrata» e rimasta estranea all'operazione contrattuale intercorsa con l'istituto bancario. Infine, anche l'importo non era tale da «rendere l'operazione sospetta» o comunque meritevole di una «procedura diversa da quella standard», considerato che l'immobile «non presentava alcuna connotazione illecita». In definitiva, per la Cassazione, «l'esclusione dei requisiti della buona fede e dell'affidamento incolpevole del terzo titolare del diritto reale di garanzia risulta affermata in maniera apodittica, senza un'adeguata disamina degli elementi di fatto disponibili e ritenuti eventualmente rilevanti, elementi la cui valutazione deve necessariamente essere operata in una prospettiva non astratta, ma riferita in concreto elle modalità e a la tipologia de 'operazione contrattuale». In particolare, ciò che risulta carente «è l'individuazione dell'impegno informativo che sarebbe stato necessario e al quale l'istituto bancario sarebbe venuto colposamente meno, dovendo la violazione del dovere di diligenza negoziale essere ancorata a parametri oggettivi e non assertivi».