In attesa di nuovi provvedimenti, le imprese nazionali che hanno riconvertito la loro produzione per far fronte alla drammatica carenza, emersa nei giorni dell’emergenza, di dispositivi di protezione individuale (DPI) si troveranno ad utilizzare, nella propria operatività, dei meccanismi di applicazione dell’IVA ordinari che ad oggi non hanno subito modifiche. Se da un lato la Commissione UE con la decisione del 3 aprile 2020 notificata con il numero C(2020) 2146 ha concesso, a determinate condizioni, l’esenzione dai dazi doganali e dell’IVA all’importazione sulle merci destinate a contrastare l’emergenza e ha comunicato l’estensione del quadro temporaneo in materia di aiuti di Stato, dall’altro il Governo italiano non ha ancora implementato misure specifiche in materia di IVA in relazione alla nuova produzione nazionale di dispositivi di protezione individuale. Da questo punto di vista, si potrebbe verificare la possibilità: - di applicare un’aliquota IVA ridotta su tali dispositivi, che avrebbe un impatto diretto sulla liquidità dei soggetti incisi dall’imposta (consumatori finali ed enti ai quali non è consentita la detrazione) e - di sospendere il meccanismo dello split payment, introdotto dallo Stato italiano per tutt’altre finalità e in tutt’altre condizioni di mercato. Aliquota ridotta IVA sui DPI Allo stato attuale, nelle tabelle allegate al D.P.R. n. 633/1972 è prevista l’aliquota IVA al 4% per determinati prodotti di ortopedia e vari - Tabella A, parte II, numeri da 30) a 33) e numero 41-quater) - e l’aliquota IVA al 10% per i medicinali pronti per l’uso umano e veterinario e altri - Tabella A, parte III, numero 114 - ma non sono indicate aliquote IVA ridotte per i dispositivi di protezione individuale. La possibilità di introdurre un’aliquota IVA ridotta sui dispositivi di protezione individuale, quindi, dovrebbe comportare un’integrazione delle tabelle allegate al decreto IVA che, in situazioni ordinarie, dovrebbe avvenire nel rispetto della normativa comunitaria e, in particolare, di quanto previsto dalla direttiva n. 2006/112 (direttiva IVA). In tal senso nell’art. 98 della direttiva IVA è previsto che gli Stati membri possono applicare delle aliquote IVA ridotte in relazione alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi elencate nell’allegato III della direttiva, in misura non inferiore al 5% (l’Italia continua ad applicare su determinati beni e servizi l’aliquota al 4% per effetto della clausola di standstill dell’art. 99, comma 3). Nel suddetto allegato III, per quanto di interesse, sono indicati al punto 3) “i prodotti farmaceutici normalmente utilizzati per cure mediche, per la prevenzione delle malattie e per trattamenti medici e veterinari” e al punto 4) “gli apparecchi medici, materiale ausiliario ed altri strumenti medici, normalmente destinati ad alleviare o curare invalidità, per uso personale esclusivo degli invalidi”. Nel solco del generale principio secondo il quale le misure di deroga devono essere interpretate restrittivamente, la Corte di Giustizia in alcuni precedenti, pronunciandosi sulle nozioni dell’allegato 3 (tra le altre: sentenza 17 gennaio 2013, C-360/11 e sentenza 9 marzo 2017, C-573/15), ha chiarito, in maniera rigida, cosa debba intendersi per prodotti farmaceutici e apparecchi medici destinati ad alleviare invalidità. In tali nozioni non sembrano rientrare i dispositivi di protezione individuale come peraltro confermato dalla stessa Commissione Europea in una nota del 3 aprile 2020 (TAXUD/SQ/PP/AMC taxud.c.1(2020)2198021) a commento della decisione notificata con il numero C(2020) 2146. L’attuale situazione emergenziale, però, dovrebbe far propendere per la possibilità di interpretare in modo più flessibile l’allegato III (che potrebbe anche essere modificato dal Consiglio Europeo ai sensi dell’art. 100, comma 2, della direttiva IVA) e permettere a ciascuno Stato membro di applicare aliquote IVA ridotte per le merci impiegate nell’emergenza. In conclusione, sarebbe auspicabile che l’Italia avanzasse alla Commissione europea (invitando a rivedere la propria posizione restrittiva) la richiesta di utilizzare per i dispositivi di protezione individuale l’aliquota IVA minima al 5% implementando la tabella A, parte II-bis del decreto IVA. Tale misura si tradurrebbe in concreti e immediati benefici: - per gli enti acquirenti di dispositivi (enti pubblici, ospedali, associazioni, altri organi dello Stato) per i quali, in assenza di svolgimento di attività commerciali, l’IVA pagata rappresenterebbe un mero costo che andrebbe a gravare sulla possibilità di acquisire ulteriori dispositivi e sulla liquidità complessiva; - per i consumatori finali, che essendo i soggetti incisi per eccellenza dell’imposta, per effetto dell’applicazione di un’aliquota ridotta potrebbero avvantaggiarsi di minori costi per la prevenzione e difesa dal Covid-19. Sospensione dello split payment a vantaggio della liquidità delle imprese produttrici Misura ulteriore che potrebbe essere implementata dal Legislatore nazionale in materia di IVA - a vantaggio non solo delle imprese produttrici di dispositivi di protezione individuale - è la sospensione del meccanismo dello split payment, attualmente previsto nell’art. 17-ter del D.P.R. n. 633/1972. Secondo tale disposizione, per le cessioni di beni e per le prestazioni di servizi effettuate nei confronti di amministrazioni pubbliche, per le quali i cessionari o committenti non sono debitori d'imposta, l'IVA è versata dai medesimi secondo le modalità indicate nei decreti 23 gennaio 2015 e 27 giugno 2017 e successive modifiche e integrazioni. In sostanza, considerata una cessione di beni a favore della PA di importo pari a 100 oltre IVA al 22%, il soggetto cedente avrebbe diritto al pagamento da parte dell’acquirente del solo imponibile pari a 100, in quanto l’IVA al 22% verrebbe versata direttamente da quest’ultimo allo Stato. In una filiera produttiva, come quella dei dispositivi di protezione individuale, tale meccanismo potrebbe avere l’effetto di determinare la maturazione di crediti IVA - anche ingenti - in capo ai soggetti cedenti alla PA, in quanto gli stessi acquisterebbero beni (ad esempio, tessuto non tessuto o altri materiali e componenti) o servizi (ad esempio di taglio o confezione) dai propri fornitori, pagando l’IVA sugli acquisti secondo le regole ordinarie, ma nella fase di cessione alla PA non liquiderebbero l’IVA a debito, sulla quale poter compensare l’IVA a credito sugli acquisti, e soprattutto non riceverebbero la provvista finanziaria corrispondente all’imposta applicata sui prodotti ceduti. I negativi effetti finanziari derivanti dal meccanismo dello split payment sono stati di più parti segnalati fin dalla sua introduzione e sono stati in parte attenuati con la previsione, a favore dei soggetti che effettuano cessioni alla PA, di rimborsi IVA ammessi in via prioritaria, procedura che però non si è dimostrata del tutto risolutiva, anche in considerazione dei tempi variabili dell’erogazione. Nello scenario economico attuale, lo split payment rappresenta un meccanismo che dovrebbe essere superato, a maggior ragione per il fatto che era stato introdotto in Italia per finalità anti-evasive, ormai superate dalla completa implementazione della fatturazione elettronica. D’altra parte, trattandosi di una misura di deroga al regime ordinario, aveva richiesto la previa autorizzazione comunitaria, da ultimo con la decisione di esecuzione (UE) 2017/784 del Consiglio, del 25 aprile 2017, che risulta in scadenza il prossimo 30 giugno 2020. Tutte queste ragioni portano a ritenere auspicabile la sospensione anticipata dello split payment, evitando di richiedere un’ulteriore proroga al Consiglio Europeo. Ne potrebbero trarre vantaggio tutte le imprese che hanno rapporti con la PA - e non solo le nuove filiere di produzione di DPI - che avrebbero comunque la possibilità di applicare, al verificarsi delle condizioni ivi previste, la disposizione sull’esigibilità differita di cui all’art. 6, comma 5 del D.P.R. n. 633/1972 (esigibilità dell’imposta differita al momento del pagamento da parte della PA). Conclusioni In considerazione di un fabbisogno stimato di 90 milioni di mascherine (oltre a camici monouso, calzari, visiere, occhiali e altri dispositivi di protezione), l’attuale impianto dell’imposta sul valore aggiunto rischia di gravare sulle imprese che hanno investito sulla riconversione industriale e, soprattutto, sulla collettività. Viceversa, le misure qui indicate (IVA ridotta - da concordare con la Commissione Europea - e sospensione dello split payment) potrebbero recare concreti vantaggi tanto ai produttori, in termini di cassa, quanto ai consumatori - privati o enti - in termini di costo, privilegiando le esigenze sanitarie rispetto alle ragioni erariali.