Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 34419 depositata l'11 dicembre 2023, hanno cercato di individuare dei criteri, per quanto possibile univoci, onde dirimere il confine tra credito inesistente e credito non spettante. Eccezion fatta per il credito non più esistente (compensato due volte per esempio) e per quello artificiosamente creato (si indica nel quadro RU il bonus ricerca sviluppo senza aver sostenuto spese per ricerca), definire quando non c’è il presupposto costitutivo può non essere facile. Occorre, come detto al punto 9.1 della sentenza, “l’esegesi puntuale delle norme che istituiscono l’agevolazione, tenuto conto dei principi regolatori della specifica imposta”. La prima situazione si ha quando il credito è subordinato a una istanza del contribuente, sia questa contenuta in dichiarazione o meno. Le agevolazioni, secondo le Sezioni Unite, sono di norma subordinate ad una manifestazione di volontà del contribuente, per di più l’Erario deve poterne verificare i presupposti. Si richiama l’art. 19 del DLgs. 546/92, nella parte in cui alla lettera h) prevede l’impugnabilità del diniego di agevolazione, a dimostrazione della “centralità” della richiesta del contribuente. Non sembra però esista un principio di fruizione delle agevolazioni su domanda del contribuente: ogni agevolazione ha spesso una disciplina a sé stante, quindi sembra improprio generalizzare (senza contare che la ratio della lettera h) può rinvenirsi nel fornire una tutela anticipata al contribuente, senza la necessità di attendere, per il ricorso, l’atto di recupero). Non coglie nel segno l’affermazione secondo cui l’Amministrazione deve verificare il beneficio come evocato nella richiesta. Entro certi limiti, questo può valere per i crediti IVA o imposte sui redditi, ma non per quelli da quadro RU, che sono una gran fetta dei crediti indebitamente compensati. La loro indicazione in dichiarazione serve, a livello generale, a ben poco per i controlli che presuppongono l’esame della documentazione sottostante (così come, peraltro, anche per i crediti IVA e imposte sui redditi laddove il controllo debba essere più approfondito). Il controllo basato sulla dichiarazione, sempre in ottica generale, può servire per intercettare compensazioni effettuate in misura superiore a quella spettante. Ma allora, specie quando vengono istituiti specifici codici tributo, la compensazione eccedente o irregolare, non spettante o inesistente che sia, emergerebbe da liquidazione automatica e l’indebita compensazione sarebbe, per definizione, non spettante. Si può sostenere che il credito non indicato in dichiarazione sia inesistente, ma nella misura in cui sia la legge a prevederlo (così ha ragionato la stessa Agenzia delle Entrate per il credito ricerca e sviluppo ex DL 145/2013, vedasi la circ. 27 aprile 2017 n. 13 § 4.9.1). In assenza di una legge che preveda l’indicazione a pena di decadenza, si potrebbe rientrare nel concetto di “violazione delle modalità di utilizzo” e ritenere il credito non spettante (nel punto 10.2, le Sezioni Unite affermano che rientra nella non spettanza la compensazione del credito IVA infrannuale senza l’istanza ex art. 8 del DPR 542/99, ma trattandosi di tributo unionale bisogna fare considerazioni ulteriori). Le Sezioni Unite affrontano i casi di crediti subordinati ad un obbligo di “fare” o “non fare”: si pensi al credito per investimenti in aree svantaggiate, laddove l’art. 8 comma 7 della L. 388/2000 impone di adibire il bene alla funzione produttiva entro due anni. Può anche trattarsi di agevolazioni in cui il legislatore impone di non cedere un immobile prima di un certo termine e così via. In questi casi difetta il presupposto costitutivo, posto che si tratta di modalità la quale “riflette (e rende operativa) l’interesse che l’agevolazione intende perseguire”. Infine, ci sono i termini finali per la compensazione, sui quali bisogna effettuare delle distinzioni. Se il credito di imposta può essere esercitato solo entro un certo termine (si pensi al credito per il trasporto merci ex DL 265/2000) si è nell’inesistenza. Invece se ci sono adempimenti procedurali, termini prima dei quali la compensazione è inibita o limiti quantitativi annui (come per lo splafonamento ex L. 388/2000) il credito è non spettante. Insomma, pur senza dirlo espressamente, sembra le Sezioni Unite vogliano far intendere che per ogni questione interpretativa sull’ammissibilità della spesa o dell’investimento ai fini del credito di imposta si rientra nell’inesistenza. Un criterio più razionale potrebbe essere quello utilizzato dal legislatore per il riversamento del ricerca e sviluppo ex DL 146/2021. Non vi accedono i contribuenti che risultano coinvolti in frodi o non dispongono di nessuna documentazione, ma vi accedono coloro i quali hanno compensato crediti per spese sostenute non “qualificabili come attività di ricerca e sviluppo ammissibili nell’accezione rilevante ai fini del credito d’imposta”, così come alcuni errori nella quantificazione o nell’individuazione delle spese ammissibili.