L’art. 28 del decreto Rilancio, avente ad oggetto il credito d’imposta per i canoni di locazione degli immobili a uso non abitativo e affitto di azienda, è molto diverso rispetto alle bozze circolate prima dell’approvazione del testo definitivo del D.L. n. 34/2020. La formulazione finale non è sempre chiara e quindi la corretta interpretazione deve essere desunta da alcuni passaggi non immediatamente intellegibili. Alcune delle problematiche principali riguardano i presupposti soggettivi che legittimano l’origine del credito di imposta utilizzabile in compensazione dal conduttore. Il presupposto soggettivo L’art. 28 del decreto prevede, al comma 1, che il credito d’imposta originato dal pagamento dei canoni di locazione, anche finanziaria, impiegati nell’esercizio dell’attività professionale, può essere attribuito a esercenti attività di impresa e arti o professioni. Il successivo comma 4 puntualizza che tale credito può essere fatto valere anche dagli enti non commerciali esercenti attività istituzionali. In particolare, la disposizione si esprime nei seguenti termini: “Il credito d’imposta [...] spetta anche agli enti non commerciali, compresi gli enti del terzo settore e gli enti religiosi, in relazione al canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale”. In considerazione della limitazione di cui al comma 1, cioè la circostanza che il bonus sia limitato agli esercenti attività d’impresa, non è chiaro se gli enti non commerciali, per poter fruire del beneficio, debbano essere in possesso della soggettività passiva ai fini IVA. In questo caso, l’indicazione di cui al comma 4 avrebbe la finalità di precisare che il credito di imposta spetterebbe anche per gli immobili utilizzati nell’attività istituzionale a condizione che l’ente eserciti, anche se marginalmente, un’attività d’impresa. I dubbi risultano superati in virtù di un’attenta lettura del successivo comma 5. In particolare, la disposizione citata prevede che “ai soggetti locatari esercenti attività economica, il credito d’imposta spetta a condizione che abbiano subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi nel mese di riferimento di almeno il cinquanta per cento rispetto allo stesso mese del periodo d’imposta precedente”. La disposizione, che individua i presupposti che attribuiscono il diritto a fruire del credito di imposta, fa riferimento ai soggetti esercenti un’attività economica. In questo caso deve essersi verificata una diminuzione del fatturato nel mese di riferimento. Conseguentemente, tale condizione troverà applicazione anche per gli enti non commerciali in possesso della soggettività passiva ai fini IVA. Non serve la prova della contrazione del fatturato Sulla base di un’interpretazione letterale della disposizione si desume - né potrebbe essere diversamente - che per i soggetti non esercenti alcuna attività economica, non assume rilevanza l’osservanza di questa condizione. Conseguentemente, dal combinato disposto dei commi 4 e 5 si desume che possono fruire del credito di imposta anche gli enti non commerciali che, esercitando esclusivamente attività aventi natura istituzionale, non devono dimostrare la contrazione del fatturato. In buona sostanza sembra che il comma 5 debba essere interpretato non nel senso di negare il beneficio agli enti non commerciali senza partita IVA, ma al contrario in senso positivo, non avendo il legislatore richiesto l’osservanza di alcuna ulteriore condizione. Gli enti non commerciali si trovano, quindi nella medesima condizione delle persone fisiche, ma presumibilmente, il legislatore ha accordato loro il beneficio avendo riguardo alle attività istituzionali svolte.