La Corte di Giustizia UE è stata chiamata a rendere chiarimenti nella causa C-653/22 sull’interpretazione dell’articolo 42, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1). Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia in merito a un’ammenda inflitta a motivo dell’errata dichiarazione del paese d’origine delle merci importate. IL FATTO Nel 2017 e nel 2018 la società ungherese J.P. Mali ha importato biciclette e parti di biciclette acquistate da società con sede a Taiwan. Il suo rappresentante doganale ai fini dell’immissione in libera pratica di tali merci, ha presentato dichiarazioni in dogana, dichiarando che dette merci erano originarie di Taiwan. La direzione delle imposte e delle dogane per il dipartimento di Baranya facente capo all’amministrazione nazionale delle imposte e delle dogane, Ungheria, ha accertato che le biciclette e le parti di biciclette importate provenivano, in realtà, dalla Cina, cosicché la loro importazione avrebbe dovuto dar luogo alla riscossione di un dazio antidumping. Di conseguenza è stato chiesto il pagamento di una somma a titolo di obbligazione doganale, che è stata versata dal rappresentante doganale di tale società. Sulla base di elementi raccolti in occasione di un controllo a posteriori effettuato presso la J.P. Mali, l’autorità doganale di primo grado ha ritenuto che tale società, in quanto parte contraente della transazione, avrebbe dovuto avere informazioni sulle circostanze dell’acquisto delle merci interessate. Il verbale di ispezione si basava, in particolare, su una relazione dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) da cui risultava che la società stabilita a Taiwan registrata come esportatrice di tali merci era coinvolta in false dichiarazioni sull’origine di parti di biciclette cinesi. Ritenendo che la J.P. Mali avesse commesso l’infrazione di cui all’articolo 84, paragrafo 1, lettera a), e paragrafo 2, lettera a), aa), della legge doganale, l’autorità doganale di primo grado le ha inflitto, conformemente all’articolo 84, paragrafo 8, di tale legge, un ulteriore ammenda amministrativa doganale. E’ stata sottoposta alla Corte la seguente questione pregiudiziale: «Se il regolamento [n. 952/2013] debba essere interpretato nel senso che è compatibile con il requisito di proporzionalità di cui all’articolo 42, paragrafo 1, [di tale regolamento], l’articolo 84, paragrafo 8,[della legge doganale], il quale, nel caso di sanzione amministrativa doganale da irrogarsi tassativamente in caso di [perdita di entrate provenienti dai dazi doganali] sorta in conseguenza di un’infrazione relativa alla correttezza dei dati forniti nella dichiarazione di merci, non consente alle autorità doganali di effettuare una valutazione delle circostanze del caso nel loro complesso né della condotta imputabile all’operatore che ha presentato detta dichiarazione, ma, in quanto norma imperativa, dispone l’irrogazione di una sanzione amministrativa doganale pari al 50% [della perdita di entrate provenienti dai dazi doganali accertata], indipendentemente dalla gravità dell’infrazione commessa e dall’esame e conseguente valutazione della responsabilità imputabile a tale operatore». LA DECISIONE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE Nella sentenza del 23 novembre 2023, la Corte di Giustizia UE rileva anzitutto che l’articolo 15 del regolamento n. 952/2013 obbliga chiunque intervenga direttamente o indirettamente nell’espletamento delle formalità doganali a fornire informazioni accurate e complete nella dichiarazione in dogana. L’inosservanza di tale obbligo costituisce una «violazione della normativa doganale», ai sensi dell’articolo 42, paragrafo 1, di tale regolamento. Infatti, questo concetto non si riferisce esclusivamente alle attività fraudolente, ma comprende qualsiasi inosservanza della normativa doganale dell’Unione, indipendentemente dal fatto che l’inosservanza sia stata intenzionale o commessa per negligenza o, ancora, non vi sia stata condotta illecita dell’operatore interessato. Dai dati forniti dal giudice del rinvio risulta che il legislatore ungherese ha introdotto un regime sanzionatorio in caso di violazione della normativa doganale che prevede un’ammenda amministrativa il cui importo è direttamente proporzionale all’importo della perdita di entrate provenienti dai dazi doganali causata dalla violazione. Infatti, poiché l’ammenda amministrativa prevista da tale regime è, in linea di principio, pari al 50% di tale perdita di entrate, l’importo dell’ammenda è tanto più elevato quanto maggiore è la perdita di entrate, derivante, ad esempio, dall’indicazione inesatta del paese o del territorio di origine delle merci. Al contrario, l’importo dell’ammenda è tanto più ridotto quanto la stessa perdita di entrate è modesta. Inoltre, quando la perdita di entrate è trascurabile, ciò può dar luogo a un’esenzione. Tale aliquota del 50% non appare, del resto, eccessiva rispetto all’importanza dell’obiettivo perseguito dalla normativa doganale dell’Unione, di adottare tutte le misure necessarie per garantire la correttezza delle informazioni sulle merci che importano e l’accuratezza e la completezza delle informazioni fornite nelle dichiarazioni in dogana. Alla luce di quanto rilevato la Corte di Giustizia UE nella sentenza alla causa C-653/2022, occorre rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 42, paragrafo 1, del regolamento n. 952/2013 deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale che prevede, in caso di perdita di entrate provenienti dai dazi doganali causata dalla fornitura di informazioni inesatte in una dichiarazione in dogana relativa a merci importate nell’Unione, un’ammenda amministrativa corrispondente, in linea di principio, al 50% di tale perdita di entrate e applicata nonostante la buona fede dell’operatore interessato e le precauzioni da quest’ultimo adottate, allorché tale aliquota del 50% è nettamente inferiore a quella prevista in caso di malafede ditale operatore ed è, inoltre, notevolmente ridotta in alcune situazioni precisate in tale normativa, tra cui quella in cui l’operatore in buona fede rettifica la sua dichiarazione in dogana prima della conclusione del controllo a posteriori.