L’ultima disposizione sulla rivalutazione dei beni d’impresa è contenuta nell’art. 110 del decreto Agosto (D.L. n. 104/2020). La nuova opportunità di rivalutazione, pur ricalcando lo schema delle precedenti leggi in materia, in primis la legge n. 342/2000, presenta una maggiore convenienza economica e una migliore elasticità di applicazione. Con la nuova agevolazione, infatti, i soggetti indicati nell’art. 73, comma 1, lettere a) e b) del TUIR, che non adottano i principi contabili internazionali IAS/IFRS, potranno incrementare i valori dei beni già nel bilancio d’esercizio successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 (ovvero il bilancio al 31 dicembre 2020 per le imprese con esercizio coincidente con l’anno solare). Perimetro soggettivo allargato La platea dei beneficiari risulta allargata anche alle società di persone, imprese individuali, enti non commerciali (per i soli beni utilizzati nello svolgimento di attività commerciali) e soggetti non residenti con stabile organizzazioni in Italia oltre alle società di capitali, comprese le cooperative e le società mutue assicuratrici e altri enti commerciali. Per espressa disposizione normativa contenuta al comma 1 dell’art. 110, D.L. n. 104/2020, possono essere rivalutati i beni materiali e immateriali, ad esclusione di quelli alla cui produzione e al cui scambio è diretta l’attività di impresa (beni merce), purché risultino dal bilancio d’esercizio al 31 dicembre 2019. Sono esclusi, pertanto, i costi pluriennali iscritti nelle immobilizzazioni immateriali quali l’avviamento, le spese di impianto e ampliamento e gli altri oneri pluriennali. La novità che caratterizza questa rivalutazione è l’eliminazione del vincolo delle categorie omogenee, ossia la possibilità di rivalutare il singolo bene. Riconoscimento fiscale dei maggiori valori Si potrà godere del beneficio anche ai soli fini civilistici e, in via facoltativa, optare per il riconoscimento ai fini fiscali dei maggiori importi iscritti in bilancio con oneri contenuti, nella misura del 3%. Tuttavia, si verifica la perdita dei benefici qualora i beni rivalutati vengano ceduti a titolo oneroso prima del quarto anno successivo a quello in cui è stata effettuata la rivalutazione. La norma prevede che le plusvalenze e le minusvalenze siano calcolate con riguardo al costo del bene ante rivalutazione, qualora la cessione avvenga anteriormente al 1° gennaio 2024. Oltre al riconoscimento fiscale dei maggiori valori è possibile effettuare l’affrancamento del saldo attivo di rivalutazione mediante il versamento di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, dell’IRAP e di eventuali addizionali nella misura del 10%. I benefici dei maggiori valori fiscali (ad esempio, deducibilità dei maggiori ammortamenti) sono riconosciuti già a decorrere dal periodo d’imposta 2021 (modello Redditi 2022). Gli effetti sulla disciplina delle società non operative La rivalutazione impone una riflessione sull’incidenza che l’operazione stessa potrebbe avere nell’ambito della disciplina delle società non operative. In breve, il meccanismo riguarda l’effettuazione del test di operatività che prevede l’applicazione di determinati coefficienti percentuali, di cui all’art. 30 della legge n. 724/1994, alla media dei valori dei beni (materiali, immateriali e partecipazioni) risultanti dall’esercizio di riferimento e dai due precedenti. Così facendo si determinano i “ricavi minimi presunti” e di conseguenza i redditi minimi, ma occorre definire su quali importi (valore ante o post rivalutazione) applicare i citati coefficienti. A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate, con diversi documenti di prassi in occasione di precedenti rivalutazioni (circolari n. 25/E/2007, n. 11/E/2009 e n. 14/E/2014), ha precisato che i valori rivalutati impattano sul test di operatività, e di conseguenza sui ricavi minimi, solo se fiscalmente riconosciuti. Diversamente, laddove la rivalutazione fosse effettuata solo ai fini civilistici, sarebbe corretto prendere il valore storico del bene anziché quello rivalutato e, pertanto, non si avrebbe alcun incremento di valore dei beni per il calcolo delle società di comodo. Sul punto, è però opportuno segnalare che la recente giurisprudenza di legittimità (Cass. ordinanza n. 17371/2020) si è pronunciata in senso contrario alla prassi consolidata dell’Agenzia delle Entrate, la quale ha sempre sostenuto l’applicazione dei coefficienti ai valori rivalutati solo se fiscalmente riconosciuti. Si confida nella circostanza che l’Amministrazione finanziaria non voglia esprimere pareri difformi al dettato normativo del TUIR, il quale prevede che, per i beni rivalutati ai soli fini civilistici, si deve tenere conto del costo di acquisizione. Ritornando al tema dell’operatività, la rivalutazione con effetti fiscali deve essere, quindi, valutata con attenzione, soprattutto per i soggetti che prevedono di trovarsi nella difficoltà di generare sufficienti ricavi futuri. Per questi soggetti, infatti, sarebbe opportuna una rivalutazione ai soli fini civilistici, evitando così il rischio di rientrare nel novero delle società di comodo, con l’obbligo di scontare sul reddito minimo presunto la maggiorazione IRES del 10,5%. Poiché la base di calcolo dei ricavi minimi previsti dalla legge n. 724/1994 tiene conto della media dei valori dei beni dell’esercizio e dei due precedenti, al termine del periodo d’imposta 2021 (modello Redditi 2022) i valori dei beni oggetto di rivalutazione parteciperanno, con l’incidenza per un esercizio, alla determinazione del valore medio per il calcolo dei ricavi minimi, mentre per il 2020 (modello Redditi 2021) il valore di riferimento per il calcolo della media è ancora quello ante rivalutazione. Aspetto contabile Per espresso richiamo all’art. 5 del D.M. n. 162/2001 contenuto nel comma 7 dell’art. 110, D.L. n. 104/2020, la rivalutazione dei beni può essere eseguita scegliendo tra le seguenti modalità, a discrezione del contribuente (in tal senso, circolare n. 57/E/2001): - rivalutazione del costo storico; - rivalutazione del costo storico e del relativo fondo di ammortamento; - riduzione del fondo di ammortamento. Il documento interpretativo n. 7 dell’OIC, pubblicato il 31 marzo 2021, evidenzia che l’applicazione di ciascuno dei metodi sopra enunciati porta all’iscrizione in bilancio dello stesso valore netto contabile che va poi ripartito lungo la vita utile dell’immobilizzazione. La scelta contabile della rivalutazione dei beni incide sulla determinazione dei valori ai fini del calcolo di operatività da indicare nel prospetto del modello Redditi. Si ricorda che il valore dei beni da indicare nel quadro RS del modello Redditi è pari: - al costo, al lordo degli ammortamenti, per i beni materiali e immateriali; - al netto delle quote di ammortamento per i costi pluriennali. Applicando il metodo della riduzione del fondo di ammortamento, il “maggior valore” viene rilevato mantenendo inalterato il costo storico del bene e, di conseguenza, resta invariato anche il calcolo del reddito minimo presunto, ai fini della verifica dell’operatività. È evidente che tale ultimo metodo di contabilizzazione è applicabile soltanto se il fondo di ammortamento ha capienza sufficiente a riassorbire il maggior valore della rivalutazione del bene e, dunque, maggiormente applicabile ai cespiti giunti quasi alla fine del normale periodo di ammortamento. Infine, occorre segnalare che questa tecnica di contabilizzazione, qualora si volesse mantenere invariata la vita utile del bene, potrebbe comportare lo stanziamento di maggiori quote di ammortamento rispetto ai coefficienti tabellari di cui al D.M. 31 dicembre 1988, con la conseguente indeducibilità ai fini fiscali delle maggiori quote stanziate.