I n uno scenario internazionale in cui l’uscita della Gran Bretagna dall’UE ha assunto una sempre maggiore attualità, l’Italia ha approvato il decreto Brexit (D.L. n. 22/2019) per prepararsi ad affrontare le conseguenze di un possibile no deal. Il decreto incide su numerosi aspetti, con l’obiettivo di garantire la stabilità dei mercati e la tutela dei cittadini, nell’ottica del rispetto e del consolidamento dei principi comunitari della libera circolazione delle persone, dei capitali e dei sevizi. Nello specifico, sono presenti misure volte a tutelare i numerosi cittadini italiani che hanno deciso di emigrare oltremanica. Tra queste, una delle più interessanti riguarda la modifica della decorrenza della data di iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE), in una prospettiva orientata ad un maggiore rafforzamento delle strutture consolari all’estero ed alla contestuale semplificazione del rapporto tra Amministrazione e cittadini. La nuova decorrenza dell’iscrizione all’AIRE Sino all’entrata in vigore del decreto permanevano notevoli margini di incertezza sul momento rilevante dell’iscrizione, in particolar modo in tutti quei casi in cui la procedura fosse iniziata presso il Consolato estero di riferimento. Tutto ciò si traduceva in una notevole incertezza sia in termini di diritto che per quanto riguarda la tempistica di perfezionamento dell’iscrizione, che spesso conduceva a situazioni paradossali, in cui l’espatriato si vedeva riconoscere l’iscrizione all’AIRE al termine del periodo di permanenza all’estero. Con l’entrata in vigore del Decreto Brexit, e in particolare dal 26 marzo 2019, si è inteso riconoscere la decorrenza dell’iscrizione all’AIRE dalla data di presentazione della domanda presso l’Ufficio consolare estero (art. 16, comma 3). Questo senza dovere più attendere la comunicazione da parte del Consolato al Comune di ultima residenza del cittadino e il successivo riscontro dell’Ente che spesso richiedeva molti mesi. Per le domande presentate prima del 26 marzo 2019 e non ancora perfezionate, invece, l’iscrizione avrà effetto a partire dal 26 marzo 2019. Rimane invariata la data di decorrenza di iscrizione all’AIRE nel caso in cui la dichiarazione di trasferimento all'estero sia stata resa in prima battuta presso il Comune di ultima residenza in Italia. Viene quindi notevolmente attenuato lo sfasamento temporale nel caso in cui la procedura d’iscrizione all’anagrafe dei residenti all’estero sia eseguita presso il proprio Comune di residenza, rispetto a quella esperita presso il Consolato estero, con una sostanziale equiparazione tra le due procedure ed una maggiore snellezza burocratica. Difatti, considerando che nel caso in cui la dichiarazione di iscrizione all’AIRE sia resa presso il Comune di residenza l’espatriato è tenuto in ogni caso a recarsi al Consolato estero entro 90 giorni dal trasferimento per perfezionare la domanda, ciò comporta un duplice onere per il cittadino, che con il nuovo termine di decorrenza introdotto dal Decreto Brexit, è stato svuotato di contenuto. AIRE: diritto-dovere di iscrizione L’iscrizione all’Anagrafe degli italiani residenti all’estero (AIRE) è un diritto-dovere del cittadino che si trasferisce all’estero per un periodo superiore a 12 mesi. Tale adempimento permette di godere di una serie di vantaggi, tra i quali quello di beneficiare di alcune semplificazioni burocratiche (i.e. rinnovo dei documenti d’identità direttamente all’estero), nonché di esercitare il diritto di voto dall’estero. La valenza primaria dell’iscrizione all’AIRE rimane, tuttavia, quella di natura fiscale. Invero, occorre considerare che il perfezionamento o meno dell’iscrizione conduce a conseguenze notevolmente impattanti da un punto di vista fiscale (nonché da un punto di vista contributivo) per i lavoratori in mobilità internazionale, quali la tassazione dei redditi aventi la propria fonte nel territorio italiano (art. 23 TUIR) o la tassazione su base mondiale di tutti i redditi ovunque prodotti (art. 3 TUIR). Lo stato di incertezza temporale ante decreto Brexit aveva ingenerato, inoltre, notevoli difficoltà gestionali per il personale espatriato, sia da un punto di vista datoriale (con riferimento ad esempio all’applicazione delle ritenute fiscali), che da quello dell’espatriato per la gestione della propria posizione fiscale. In sostanza, tale alea temporale era quantomeno lesiva della certezza del diritto che dovrebbe essere garantita a tutti i contribuenti, e che il nuovo decreto si propone di assicurare, unitamente ad una maggiore celerità procedurale, così come specificato dallo stesso Consolato generale d’Italia a Londra. Conclusioni Il requisito dell’iscrizione all’AIRE, sia esso considerato quale condizione primaria ai fini dell’integrazione della residenza fiscale all’estero, ovvero quale condizione rilevante per l’accesso ai regimi di favore per l’attrazione di capitale umano in Italia (i.e. il regime degli impatriati), ha da sempre rappresentato un limite invalicabile, sia da parte del Legislatore che dalla costante giurisprudenza della Suprema Corte che l’ha suggellata come presunzione assoluta. La sempre maggiore attenzione verso tale adempimento squisitamente formale, ma ad elevato impatto sostanziale, deve essere letto congiuntamente alla modifica normativa introdotta con il decreto Crescita in tema di impatriati. Di fatto, sia per il tramite del decreto Brexit, che con il decreto Crescita (D.L. n. 34/2019) - mediante il quale è stata superata l’iscrizione all’AIRE quale requisito per l’accesso al regime fiscale agevolativo degli impatriati - si è inteso operare un primo cambio di prospettiva con riferimento a tale requisito. Sarebbe auspicabile, vista la mole di contenzioso che si è sviluppata sul tema, che anche la Suprema Corte e gli Uffici fiscali adottassero un approccio maggiormente sostanziale ai fini della valutazione della residenza delle persone fisiche. Dando così preminenza agli aspetti fattuali che trovano la loro espressione nelle (sovraordinate) Convenzioni contro le doppie imposizioni.