Legittimo il licenziamento del lavoratore che falsamente voglia mettere l’azienda in cattiva luce denunciando che il legale rappresentante si sia indebitamente appropriato del Tfr. Lo precisa la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 30866 depositata il 6 novembre 2023. L'esercizio del potere di denuncia (e in generale del diritto di critica nei confronti del datore di lavoro), se non può essere di per sé fonte di responsabilità, esso può divenire tale qualora il privato faccia ricorso ai pubblici poteri in maniera strumentale e distorta, ossia agendo nella piena consapevolezza dell'insussistenza dell'illecito o dell'estraneità allo stesso dell'incolpato. In questo senso si articolava l'addebito disciplinare concreto mosso al lavoratore (esposto presentato non per rimuovere una situazione di illegalità o per tutelare i diritti del querelante, ma con la volontà di danneggiare il datore di lavoro), configurandosi la condotta di strumentalizzazione della denuncia non scriminata dall'esercizio del diritto, e atta a integrare un illecito disciplinare, alla luce del dovere di fedeltà di cui all'art. 2105 c.c., letto in rapporto ai più generali canoni di correttezza e buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c., perché contraria ai doveri derivanti dall'inserimento del lavoratore nell'organizzazione imprenditoriale e comunque idonea a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario (cfr. Cass. n. 29526/2022, n. 1379/2019, n. 22375/2017). La Suprema Corte ha più volte chiarito che, in tema di licenziamento per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo, la valutazione della gravità e proporzionalità della condotta rientra nell'attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie, con la quale viene riempita di contenuto la clausola generale dell'art. 2119 c.c.; la Cassazione non può sostituirsi al giudice del merito nell'attività di riempimento di concetti giuridici indeterminati, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, e tale sindacato sulla ragionevolezza non è quindi relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell'ipotesi specifica nella norma generale, quale sua concretizzazione; l'attività di integrazione del precetto normativo di cui all'art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito non può essere censurata in sede di legittimità se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza del giudizio di sussunzione del fatto concreto, siccome accertato, nella norma generale, ed in virtù di una specifica denuncia di non coerenza del predetto giudizio rispetto agli standard, conformi ai valori dell'ordinamento, esistenti nella realtà sociale (cfr. Cass. n. 13534/2019, e giurisprudenza ivi richiamata; cfr. anche Cass. n. 985/2017, n. 88/2023, n. 26043/2023; v. anche, Cass. n. 14063/2019, n. 16784/2020, n. 17321/2020). Orbene, ad avviso degli Ermellini non incorre in alcun vizio la valutazione di merito circa l'integrazione nella clausola generale della giusta causa di recesso datoriale dal rapporto di lavoro dell'accertata condotta di strumentalizzazione di denuncia in sede penale di fatti consapevolmente non veritieri e con dati di fatto alterati, a prescindere dalla configurazione in concreto di possibili reati in capo al denunciante che abusi del proprio diritto.