Il commercialista può concorrere con il contribuente nel delitto di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti anche con il mero dolo eventuale, ossia con la mera accettazione del rischio della realizzazione della fattispecie illecita. Infatti l’elemento psicologico richiesto è normalmente il dolo specifico, ossia la rappresentazione e volizione dell’intera fattispecie per l’ottenimento del fine criminoso. Tuttavia, come chiarito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 28158 del 27 giugno 2019, il reato può dirsi consumato anche in presenza di dolo eventuale. IL FATTO Il consulente fiscale di una società assieme al rappresentante e ad altri soggetti era indagato per aver commesso reati tributari concernenti l’uso di fatture per operazioni inesistenti, al fine di evadere le imposte. Il conseguente procedimento penale terminava in primo grado con la condanna alla pena detentiva, nonché con la confisca per equivalente fino all’ammontare dell’imposta evasa. La sentenza veniva in buona sostanza confermata dai giudici di appello che, di fatto, ribadivano la responsabilità anche del commercialista nelle violazioni riscontrate a titolo di dolo eventuale, sebbene la fattispecie richieda una volontà “specifica”, ovvero finalizzata al conseguimento del fine criminoso ultimo: l’evasione dell’imposta. Avverso detta pronuncia gli imputati proponevano ricorso in Cassazione, e in particolar modo la difesa del commercialista insisteva sulla totale estraneità ai fatti del professionista, stante il suo incarico di mera tenuta e aggiornamento della contabilità. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato i ricorsi presentati dagli imputati ritenendo del tutto infondate le eccezioni formulate. In particolare, in riferimento alla posizione del consulente i giudici di legittimità asseriscono che questi può ben concorrere nella commissione del reato di dichiarazione fraudolenta mediante l’uso di fatture o di altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2, D.Lgs. n. 74/2000), anche a titolo di dolo eventuale. Risulta infatti, prosegue la Corte, del tutto condivisibile, l’orientamento giuridico secondo cui il dolo specifico richiesto, al fine di integrare il delitto commesso, è compatibile con quello eventuale. Questo consiste, a differenza del dolo specifico che concretizza la piena e consapevole volontà di utilizzare documenti o fatture inesistenti con l’esplicita finalità di conseguire lo scopo criminoso, in una mera accettazione del rischio, che dall’azione di presentazione della dichiarazione, comprensiva anche di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, possa derivarne a tutti gli effetti l’evasione delle imposte dirette o dell’IVA. Nel caso di specie, tale bonaria accettazione del rischio era supportata: a) dai timori espressi dal professionista nel corso delle telefonate intercettate, ove emergeva la piena consapevolezza e il coinvolgimento del ricorrente nelle pratiche illecite; b) dalle ammissioni relative alla redazione e all’inoltro della dichiarazione fiscale con l’uso di fatture per operazioni inesistenti, relative ad elementi passivi fittizi. Da qui il rigetto del ricorso.