Dichiarazione omessa: il mancato pagamento dimostra il dolo originario

In tema di omessa presentazione della dichiarazione annuale dei redditi, la prova del dolo specifico di evasione richiesto per la configurabilità del reato ex art. 5 D.lgs. n. 74/2000 può desumersi in capo al contribuente anche dal comportamento successivo del mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, dimostrativo della volontà preordinata di non presentare la dichiarazione. È quanto emerge dalla lettura della sentenza n. 11558 del 20 marzo 2023 della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione. IL FATTO Il soggetto in questione, per quanto qui rileva, si è difeso sostenendo di essere un mero prestanome; circostanza che, però, è stata smentita dalle dichiarazioni rilasciate dalla commercialista della società. Quest’ultima, infatti, ha riferito di rapportarsi proprio e anche con l’imputato in relazione all’invio di documentazione e alla predisposizione dei bilanci. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Suprema Corte, pertanto, ha ritenuto corretta la valutazione operata dal Giudice di merito in ordine alla sussistenza del dolo specifico di evasione richiesto dall’art. 5 del D.lgs. n. 74 del 2000, laddove nella sentenza impugnata si pone l’accento: sul forte scostamento dalla soglia di punibilità (IRES pari a 243.324,51 euro nell’anno d’imposta 2013 e pari quasi a 205.000 euro nell’anno 2014, dove l’IVA evasa superava 114.000 euro); sulla piena consapevolezza dell’andamento societario e sulla conoscenza della situazione contabile, come attestato dalle dichiarazioni della commercialista della società. Gli Ermellini, nel confermare la validità giuridica del percorso decisionale seguito dal Giudice di merito, ricordano che la soglia di punibilità ha natura di elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo la stessa a definirne il disvalore (tra le molte, Cass. S. U. pen., n. 37424 del 28/03/2013) e, come tale, deve essere oggetto di rappresentazione e volizione, anche eventuale, del fatto materiale da parte del soggetto agente, il quale deve avere la consapevolezza che le somme evase superino la soglia di punibilità (v., tra le altre, Cass. Sez. III pen. n. 12248 del 22/01/2014 e n. 7000 del 14/02/2018). I Massimi giudici, poi, hanno ricordato quanto precisato da Cass. Sez. III pen. n. 16469/2020, ossia che la prova dell'esistenza della volontà di non presentare la dichiarazione al fine di evadere le imposte, può bene essere desunta anche dal comportamento successivo del contribuente-imputato e, dunque, desumibile dal mancato pagamento delle imposte dovute e non dichiarate, essendo tale condotta successiva dimostrativa della volontà di non presentare la dichiarazione, in quanto preordinata al mancato versamento successivo delle imposte. La dichiarazione tributaria rappresenta infatti un momento essenziale del procedimento di accertamento del tributo, anzi l'obbligo di presentazione della dichiarazione rappresenta il momento di partecipazione del contribuente alla fase di accertamento. Si tratta di quello che la dottrina definisce l'auto-accertamento della base imponibile. Ne discende, conclusivamente, che il mancato assolvimento dell'obbligo dichiarativo, non manifestando al Fisco la capacità contributiva e non indicando l'ammontare delle imposte dovute in relazione all'anno di imposta, integra quell'offesa al bene giuridico oggetto di tutela penale, che rende punibile il comportamento omissivo del contribuente-imputato a prescindere e indipendentemente dalla condotta - successiva - del medesimo, consistente nel mancato pagamento delle imposte dovute ma non dichiarate, il quale può rivestire valenza penale ad altri fini, ma non priva certo di rilevanza penale il mancato assolvimento dell'obbligo dichiarativo. In definitiva, dunque, a fronte del mancato assolvimento dell'obbligo dichiarativo, la condotta successiva (dalla mancata presentazione di una dichiarazione tardiva sino al mancato pagamento delle imposte dovute) è comportamento che ben può essere valorizzato in chiave soggettiva, ricavando dal medesimo la prova del dolo originario di evasione connesso alla mancata presentazione della dichiarazione fiscale, quale “condicio sine qua non” del mancato adempimento del successivo obbligo di versamento (in motivazione, Sez. III n. 16469 cit.). Nel caso di specie, secondo il Supremo Collegio, la sentenza di impugnata non si è discostata dai superiori principi, il che ha comportato il respingimento del ricorso per cassazione dell’imputato, il quale ha subito anche la condanna al pagamento delle spese processuali.

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