La documentazione contabile non può assumere un diverso valore probatorio a seconda che venga utilizzata dall’Ufficio per l’accertamento oppure dal contribuente per una perizia tramite Ctu a proprio favore. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 6864 dell'8 marzo 2019. IL FATTO La posizione fiscale di un contribuente era stata ricostruita dal Fisco attraverso l’utilizzo della documentazione contabile, su cui, appunto, si era fondato l’accertamento. I giudici regionali, confermando la decisione di primo grado, si erano limitati a stabilire che la quantificazione dei costi ricostruiti tramite Ctu di parte non consentiva di modificare le conclusioni della verifica fiscale, atteso che tali costi risultanti dalla perizia presentata dal contribuente, oltre a essere fondati su documentazione contabile inattendibile, risultavano inferiori a quelli ricostruiti dall’Ufficio. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Per la Cassazione, i giudici di merito avevano illegittimamente ritenuto inattendibili le conclusioni della perizia di parte, senza spiegarne le ragioni di tale inattendibilità. Sebbene non sia specificato nella parte motiva della pronuncia, è presumibile che si sia trattato di una ricostruzione induttiva operata dal Fisco sulla base - come emerge dagli atti - di fatture di acquisto e vendita, cedolini paga, bolli di automezzi, certificati assicurativi, modelli F24, mastrini analitici ed estratti dei conti correnti bancari. Non si comprende, allora, perché, per i giudici di merito, tale documentazione se utilizzata dal Fisco per fondare l’accertamento sia attendibile, mentre se impiegata dalla perizia di parte per conclusioni favorevoli al contribuente debba ritenersi inattendibile; infondo, si tratta sempre degli stessi documenti. Altra cosa è, invece, affermare che le conclusioni del Fisco sulla documentazione contabile sono attendibili, mentre quelle della perizia di parte no: allora, però, è necessario che il giudice di merito motivi le ragioni della sua decisione, pena il vizio di motivazione (Cassazione 32980/2018). La valutazione della documentazione contabile, peraltro, può assumere un particolare valore probatorio a favore del contribuente, quando viene espletata nell’ambito del processo di revisione: la Cassazione ha stabilito, infatti, che la società di revisione, iscritta in apposito Albo, svolge funzioni di controllo e non di mera progettazione, circa la regolare tenuta della contabilità, la corrispondenza del bilancio e del conto profitti e perdite alle risultanze delle scritture contabili, valutando quindi con apposita relazione il bilancio di esercizio o il consolidato: di tali attestazioni la società di revisione è responsabile nei confronti della società che le ha conferito l’incarico, dei terzi per i danni, e penalmente per false certificazioni, comunicazioni o dichiarazioni, sicché tali caratteristiche, anche se non consentono di affermare che la relazione della società di revisione garantisce senz’altro la veridicità del bilancio, rendono forte e affidabile l’istituto della revisione, e particolarmente qualificate le sue attestazioni, che, attingendo al regime giuridico delle prove decisive, non possono essere disattese dall’Amministrazione Finanziaria o dal giudice, se non sono contrastate da prove di eguale portata (Cassazione 6532/2009; si veda anche al riguardo Cassazione 12285/2018).