Agenzia delle Entrate - Risposta n. 481 del 19 ottobre 2020 Con la risposta n. 481 del 19 ottobre 2020 l’Agenzia delle Entrate si è espressa in tema di enti non commerciali. L'articolo 73 del TUIR individua i soggetti passivi, ai fini IRES, fra i quali, gli enti pubblici e privati diversi dalle società che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale residenti nel territorio dello Stato. Rientrano in tale categoria sia gli enti che non svolgono alcuna attività commerciale, sia quelli che, pur effettuando anche attività commerciale, non la svolgono in modo prevalente, essendo la loro attività principale di natura non commerciale. Per gli enti non commerciali il reddito complessivo è costituito, ai sensi dell'articolo 143 del TUIR, dai redditi fondiari, di capitale, d'impresa e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione. Per detti enti, pertanto, i redditi d'impresa si configurano come una delle categorie reddituali che concorrono a formare il reddito complessivo da assoggettare ad imposizione. Costituiscono redditi d'impresa, ai fini IRES, quelli che derivano dall'esercizio di imprese commerciali ovvero l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività indicate nell'articolo 2195 c.c. anche se non organizzate in forma d'impresa. Sono inoltre considerati redditi d'impresa i redditi derivanti dall'esercizio di attività organizzate in forma d'impresa dirette alla prestazione di servizi che non rientrano nell'articolo 2195 c.c. Ai fini della determinazione del reddito degli enti non commerciali, l'articolo 143 del TUIR dispone che per i medesimi enti non si considerano attività commerciali le prestazioni di servizi non rientranti nell'articolo 2195 del codice civile rese in conformità alle finalità istituzionali dell'ente senza specifica organizzazione e verso pagamento di corrispettivi che non eccedono i costi di diretta imputazione. La commercialità dell'attività svolta, quindi, sussiste qualora detta attività sia caratterizzata dai connotati tipici della professionalità, sistematicità ed abitualità, ancorché non esclusiva. La qualifica di imprenditore sussiste anche in presenza del compimento di un unico affare, in considerazione della rilevanza economica dello stesso e della complessità delle operazioni in cui si articola, implicanti la necessità di compiere una serie coordinata di atti economici. Nessun rilievo assume, invece, ai fini della qualificazione dell'ente non commerciale, la natura (pubblica o privata) del soggetto, la rilevanza sociale delle finalità perseguite, l'"assenza del fine di lucro" o la destinazione dei risultati. In merito alla nozione di impresa, occorre richiamare la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea secondo la quale il semplice possesso di partecipazioni, anche di controllo, non è sufficiente a configurare un'attività economica del soggetto che detiene tali partecipazioni, quando tale possesso dà luogo soltanto all'esercizio dei diritti connessi alla qualità di azionista o socio nonché, eventualmente, alla percezione dei dividendi, semplici frutti della proprietà di un bene. La stessa Corte ha precisato che viceversa, un soggetto che, titolare di partecipazioni di controllo in una società, eserciti effettivamente tale controllo partecipando direttamente o indirettamente alla gestione di essa, deve essere considerato partecipe dell'attività economica svolta dall'impresa controllata. In tal senso, relativamente alla possibilità per l'ente non commerciale di detenere partecipazioni, anche totalitarie, in società commerciali senza perdere il requisito della non commercialità, la Commissione europea ha precisato che il semplice fatto che un ente detenga partecipazioni, anche di maggioranza, in un'impresa che fornisce beni o servizi su un mercato non significa che tale ente debba automaticamente essere considerata un'impresa ai fini dell'articolo 107, paragrafo 1, del trattato. Se tale partecipazione dà luogo soltanto all'esercizio dei diritti connessi alla qualità di azionista nonché, eventualmente, alla percezione dei dividendi, semplici frutti della proprietà di un attivo, tale ente non verrà considerato come un'impresa se non fornisce esso stesso beni o servizi sul mercato. Dunque, un ente non commerciale può, in via generale, detenere una partecipazione, anche totalitaria, in società di capitali, a condizione che la detenzione della partecipazione societaria venga gestita con modalità operative e gestionali diverse da quelle tipiche dell'attività commerciale. In altri termini il ruolo effettivamente svolto dall'ente non commerciale deve sostanziarsi in una gestione statico-conservativa delle partecipazioni, in cui l'impiego delle risorse patrimoniali deve essere finalizzato alla percezione di utili da destinare al raggiungimento degli scopi istituzionali. In tale ultimo caso la detenzione di partecipazioni, acquisite anche tramite donazione, non configura l'esercizio di attività di impresa ed i dividendi percepiti costituiscono redditi di capitale. Diversamente nell'ipotesi in cui la detenzione di partecipazioni societarie venga effettuata nell'ambito di un'attività gestita con i connotati tipici dell'attività commerciale (professionalità, sistematicità e abitualità), la stessa, produrrà reddito d'impresa. In tal caso, quindi, occorrerà verificare in concreto la prevalenza o meno dell'attività commerciale.