L'equa riparazione deve tenere sempre presente il valore della causa e si deve attenere scupolosamente alla norma in vigore. E' quanto chiarisce la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 8050 del 21 marzo 2019. IL FATTO Nella vicenda una srl - nel settore delle vernici - si era insinuata in un passivo fallimentare e chiedeva alla Corte d'appello di Ancona l'equa riparazione sulla base della legge 89/2001. Per l'irragionevole durata del fallimento durato oltre 30 anni chiedeva un risarcimento per danno non patrimoniale pari a circa 23 mila euro. L'azienda aveva anche richiesto la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dall'aprile del 1984, data della sentenza dichiarativa del fallimento. Il ricorso era stato parzialmente accolto con decreto con il quale si ingiungeva al Ministero della Giustizia il pagamento a titolo di equa riparazione di 1.400 euro oltre gli interessi e spese di lite. Evidentemente non soddisfatta della somma riconosciuta, la società ha proposto ricorso per Cassazione. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE I Supremi giudici tuttavia hanno ricordato che sulla base dell'articolo 2-bis, comma 3, della legge 689/81 "La misura dell'indennizzo, anche in deroga al comma 1 non può in ogni caso superare il valore della causa o se inferiore a quello del diritto accertato". La Corte evidenzia che attorno a questa frase ci sia la risposta all'appello. "In ogni caso" è espressione chiaramente indicativa dell'applicabilità della norma a tutti i ricorsi introdotti dopo la sua entrata in vigore, e la locuzione "misura dell'indennizzo" si riferisce all'indennizzo totale, relativo cioè a tutta la durata del processo presupposto, che non può essere scaglionata in distinti periodi. In definitiva è stato respinto il ricorso della società.