Spiragli di luce per la possibilità di recuperare i crediti non inseriti in bilancio, dopo l’estinzione di una società. Forse. A ridare una speranza, riaprendo la questione è la Corte di Cassazione con l’ordinanza interlocutoria n. 22911 del 13 settembre 2019. L’orientamento ad oggi prevalente è quello, secondo il quale il fatto in sé stesso della cancellazione comporta sempre e comunque una rinuncia. Alcune pronunce insinuano però il dubbio che si tratti invece di una semplice presunzione, vincibile da prove di segno contrario, quale ad esempio la mancata conoscenza della sopravvenienza al tempo del bilancio di liquidazione. La questione è di notevole importanza, anche perché frequente nella pratica dove può valere molti denari. Il caso Una Srl chiama in giudizio una banca, chiedendo la restituzione di somme percepite sulla base di clausole nulle, perché «uso piazza» e anatocistiche. Il Tribunale di Bari accoglie la domanda. La Corte di Appello conferma. Nelle more dei giudizi la società si cancella quindi dal registro delle imprese. Si arriva in Cassazione. La banca sostiene che la cancellazione, causando l’estinzione della società, determina la rinuncia del credito azionato. Secondo la banca i soci non possono comunque intervenire nel giudizio di legittimità. Questi affermano invece di essere subentrati, per via della cancellazione, nel rapporto controverso e che il ricorso della banca avrebbe dovuto essere diretto nei loro confronti. La sezione della Corte, investita del ricorso, constata che la questione ha «significativa rilevanza nomofilattica», pone rilevanti interrogativi circa gli effetti della cancellazione di società e richiede approfondimenti particolari: con l’ordinanza 22911 rimette quindi la questione all’esame della pubblica udienza. La problematica Per meglio orientarsi, va ricordato che la cancellazione delle società di capitali causa (articolo 2495 del Codice civile) l’estinzione del soggetto; per la Corte di Cassazione (pronuncia 13183/2017), lo stesso accade nelle società di persone (fatta salva la prova che la società abbia continuato a operare). Il tema investe quindi l’intero fenomeno societario. All’estinzione della società (e al venire meno, in sé, del soggetto processuale) dovrebbe seguire che titolari dei rapporti divengono, per «successione», i singoli soci (quali condebitori o concreditori). Per i debiti è così: nelle società di capitali, i soci rispondono nei limiti del riscosso in sede di bilancio di liquidazione; illimitatamente, nelle altre. Meno lineare è la situazione per i rapporti attivi. Per i crediti incerti o illiquidi (le cosiddette mere pretese) la cancellazione può essere infatti intesa come caso di rinuncia dei soci al credito. Il punto tocca quindi i crediti non appostati nel bilancio di liquidazione: per dimenticanza o perché indicati solo in modo generico, magari per difficoltà della loro quantificazione, o perché l’esistenza degli stessi non è ancora nota. La giurisprudenza Per le «pretese azionabili in giudizio e per i crediti incerti o illiquidi, la cui inclusione nel bilancio finale avrebbe chiesto un’ulteriore attività giudiziale o extragiudiziale», le cosiddette mere pretese, la Cassazione ha più volte ritenuto che la cancellazione porta rinuncia: «la società vi ha rinunciato a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo» (tra le più recenti si vedano le pronunce 19302/2018 e 16511/2019). Secondo altre pronunce potrebbe trattarsi invece di una semplice presunzione, vincibile dalla prova contraria (Cassazione, 24788/2018 ). I nodi da sciogliere Emergono qui le questioni che la Corte in pubblica udienza è chiamata a dirimere. La nozione di mera pretesa appare un po’ labile, di incerti confini. Se la si accetta, occorre precisare cosa vi sta dentro e cosa fuori. Ma prima ancora bisogna chiedersi se il nudo fatto della cancellazione, oppure quello dell’assenza di poste specifiche nel bilancio di liquidazione, sia davvero sufficiente a portare il discorso al livello della rinuncia del credito. L’altro nodo riguarda il «peso specifico» della rinuncia evocata dal fenomeno della cancellazione. Secondo i principi, per essere tale la rinuncia («remissione», nel lessico dell’articolo 1236 del Codice civile) dev’essere inequivoca e l’onere di provarne la presenza cade sul debitore. Nel concreto, la Corte dovrà quindi stabilire: - se la cancellazione comporta una presunzione assoluta o relativa di rinuncia o cos’altro; - se ha un «peso» costante; - se la cancellazione compiuta, mentre è ancora pendente il processo, è cosa diversa da quella fatta ignorando l’esistenza del credito; - quali riserve, espresse al tempo della cancellazione, possono escludere la rinuncia. Non è detto però che i soci non possano risolvere la questione altrimenti. Si potrebbe in effetti ipotizzare il ricorso a una cessione di crediti, prima della cancellazione fatta dalla società a favore pro quota dei soci.