Il reato di emissione di fatture false è funzionale a consentire l’evasione a terzi anche con riferimento all’imposta sul valore aggiunto. Il delitto previsto dall’art. 8 del DLgs. 74/2000, infatti, è configurabile anche in caso di fatturazione solo soggettivamente falsa, quando cioè l’operazione oggetto di imposizione fiscale sia stata effettivamente eseguita e tuttavia non vi sia corrispondenza soggettiva tra il prestatore indicato nella fattura o altro documento fiscalmente rilevante e il soggetto giuridico che abbia erogato la prestazione, in quanto anche in tal caso è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Cass. n. 24307/2017). Tale interpretazione è consentita, innanzitutto, sia dall’argomento testuale, fondato sull’ampiezza della previsione normativa, la quale si riferisce genericamente a “operazioni inesistenti”, sia dall’argomento teleologico, fondato sulla considerazione per cui, anche in tali casi, è possibile conseguire il fine illecito indicato dalla norma in esame, ovvero consentire ai terzi l’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto (Cass. nn. 20353/2010 e 14707/2008). Inoltre, lo stesso art. 1 comma 1 lett. a) del DLgs. 74/2000 stabilisce che “per «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”. Questa impostazione viene confermata e chiarita dalla sentenza n. 16576 della Corte di Cassazione depositata il 19 aprile 2023. Nel caso di specie, un soggetto era stato condannato perché con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, quale gestore occulto di una ditta individuale aveva emesso a nome della predetta ditta fatture per operazioni inesistenti, per un imponibile pari a 96.346 euro e per IVA pari a 18.159 euro. La Cassazione evidenzia con riguardo all’IVA che il sistema impositivo opera mediante un meccanismo di compensazioni e che il versamento dell’imposta all’Erario deve avvenire proprio a opera di colui che effettua la prestazione (la vendita o l’erogazione del servizio). In altri termini, colui che effettua la prestazione è tenuto a emettere la fattura, nella quale deve indicare sia il valore imponibile, sia il valore dell’IVA; poi, alla scadenza prevista, dovrà corrispondere questa imposta all’Erario, previa detrazione di quanto versato per il medesimo tributo, ai suoi fornitori. Precisamente, il DPR 633/72, relativo alla istituzione e disciplina dell’IVA, individua proprio colui che effettua la prestazione come il “debitore” di tale imposta. In particolare, l’art. 17 del decreto citato, al comma 1, nel testo attualmente vigente, recita: “L’imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all’Erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista nell’art. 19, nei modi e nei termini stabiliti nel titolo secondo”. Ne discende che la fattura emessa da un soggetto diverso da quello che ha realmente eseguito la prestazione è funzionale proprio a consentire a quest’ultimo di non emettere la fattura e, quindi, di non risultare come debitore dell’IVA, quale soggetto giuridicamente obbligato al versamento della stessa secondo le scadenze periodiche previste dalla legge. I giudici di legittimità aggiungono, anzi, che, se il reale autore della prestazione “coperto” dalla falsa fattura non viene individuato, il mendacio documentale raggiunge appieno il risultato illecito di tenere quest’ultimo indenne dal debito per l’IVA verso l’Amministrazione finanziaria. Non viene poi attribuita alcuna rilevanza al fatto di accertare se un’evasione di imposta si sia in concreto verificata, in quanto l’evasione d’imposta non è elemento costitutivo del delitto, ma caratterizza il dolo specifico normativamente richiesto per la punibilità dell’agente, essendo necessario che l’emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo realizzi effettivamente l’illecito intento (Cass. n. 31142/2022). Né può escludersi la configurabilità dell’art. 8 del DLgs. 74/2000 nel caso di indebito trattenimento dell’IVA da parte dell’emittente le false fatture, perché tale condotta sarebbe sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 10-ter del DLgs. 74/2000 (omesso versamento), in ipotesi di presentazione della dichiarazione e omissione di versamento, ovvero in quella di cui all’art. 5 del DLgs. 74/2000 (omessa dichiarazione), in ipotesi invece di omessa presentazione della dichiarazione. In ogni caso, essendo qui contestato il solo reato di emissione di fatture per operazioni inesistenti, per la Cassazione è sufficiente rilevare che il mendacio documentale costituisce un preciso elemento specializzante della figura delittuosa in esame rispetto alle altre fattispecie citate.