Si rafforza l'orientamento della Corte di Cassazione (sentenza n. 18477 depositata il 28 giugno 2023) per il quale in caso di fallimento del datore di lavoro, l'insinuazione al passivo per le quote di Tfr non versate al fondo di previdenza complementare spetta al lavoratore. In questo caso, il mandato al versamento deve considerarsi sciolto, e dunque la titolarità del credito – ancora di natura retributiva e non previdenziale, non essendo stato versato nulla – torna in capo al dipendente. Come già evidenziato dalla Suprema Corte, "caratteristica peculiare della previdenza complementare, ancorché funzionalizzata, è l'autonomia. Ciò si trae principalmente dalle previsioni, secondo cui: "L'adesione alle forme pensionistiche complementari ... è libera e volontaria" (art. 1, secondo comma d.lgs. n. 252/2005) e "Le fonti istitutive delle forme pensionistiche complementari", nella varia modulazione negoziale collettiva e regolamentare stabilita dall'art. 3, primo comma d.lgs. cit., "stabiliscono le modalità di partecipazione, garantendo la libertà di adesione individuale" (art. 3, terzo comma). In estrema sintesi ed esclusivamente ai fini qui d'interesse, la disciplina delle forme pensionistiche complementari ne stabilisce un finanziamento attuabile mediante il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro o del committente e attraverso il conferimento del T.f.r. maturando (art. 8, primo comma). Esse costituiscono risorse che i fondi di pensione gestiscono secondo le modalità previste dall'art. 6 e provvista per le prestazioni erogate a norma dell'art. 11. A temperamento della rigidità degli effetti conseguenti alla scelta di adesione al fondo previsti dall'art. 11 (che vincola la partecipazione individuale fino alla maturazione, a norma del secondo comma, dei requisiti per la riscossione delle prestazioni pensionistiche, salva la previsione statutaria o regolamentare del fondo della possibilità di riscatto della posizione individuale ai sensi dell'art. 14, co. 1; con facoltà di ottenere anticipazioni della posizione individuale maturata, a norma del settimo comma dell'art. 11) e in funzione incentivante la partecipazione dei lavoratori, l'art. 14, co. 6 prevede la "portabilità" dell'intera posizione individuale, ossia la facoltà del suo trasferimento ad un'altra forma, così potendo essi scegliere le più convenienti opportunità di impiego nel risparmio previdenziale. La questione più delicata (...) è indubbiamente quella del conferimento del T.f.r., che comporta l'adesione alle forme pensionistiche complementari, nella duplice modalità espressa o tacita (art. 8, settimo comma, lett. a), b). Ed infatti, nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro che abbia provveduto ad accantonare il T.f.r. conferito al fondo di previdenza complementare, senza tuttavia versarlo, si pone il problema di individuare, nell'ambito del rapporto associativo tra lavoratore e fondo, intermediato dal datore di lavoro quale debitore delle quote tempo per tempo maturate, il soggetto che abbia diritto ad insinuare allo stato passivo la pretesa creditoria - tenuto anche conto della previsione di intervento del Fondo di Garanzia dell'Inps, a norma dell'art. 5, secondo comma d.lgs. 80/1992, nel caso di omissione contributiva del datore di lavoro soggetto a procedura concorsuale" (Cass. 15 febbraio 2019, n. 4626). Una successiva pronuncia della Suprema Corte, in tema di fondi pensione complementari, ha ritenuto che le regole civilistiche dettate in tema di delegazione di pagamento e di sua revoca sarebbero incompatibili con la disciplina speciale stabilita dal d.lgs. 252/2005, essendo demandata agli statuti dei fondi, a norma dell'art. 14 d.lgs. cit., l'individuazione delle modalità di trasferimento ad altre forme pensionistiche, nonché di riscatto totale e parziale. E ciò, sulla base dei richiamati principi enunciati da un autorevole arresto di legittimità (Cass. S.U. 9 marzo 2015, n. 4684), per cui, con riferimento al periodo precedente la riforma introdotta dal d.lgs. 124/1993, i versamenti effettuati dal datore di lavoro ai fondi di previdenza complementare hanno - a prescindere dalla natura del soggetto destinatario della contribuzione - natura previdenziale e non retributiva; sicché, non sussistono i presupposti per l'inserimento dei suddetti versamenti nella base di calcolo delle indennità collegate alla cessazione del rapporto di lavoro. E con la conseguenza che, prestata l'adesione al fondo, non ne sarebbe consentita la revoca, ma solo la cessazione per il venir meno dei presupposti ed il trasferimento ad altra previdenza complementare; salvo, in ogni caso, il diritto del lavoratore al risarcimento del danno nei confronti del datore di lavoro che abbia trascurato di versare in tutto o in parte i contributi, qualora detto inadempimento si riverberi sulla prestazione da godere, ovvero, in caso di insolvenza del datore di lavoro, salva la possibilità di sollecitare l'intervento del Fondo di garanzia ai sensi dell'art. 5 d.lgs. 80/1992 (Cass. 27 gennaio 2022, n. 2406; conf. Cass. 24 marzo 2023, n. 8515). Anche sottolineata l'affermazione recente, secondo cui "portabilità" e "riscatto" integrano un «principio generale del sistema previdenziale complementare» e rappresentano un "diritto" applicabile «a tutti i fondi complementari preesistenti all'entrata in vigore della legge n. 421/1992, indipendentemente dalle loro caratteristiche strutturali, essendo comunque ravvisabile una posizione individuale di valore determinabile, la cui consistenza va parametrata ai contributi versati al Fondo, compresi quelli datoriali ed ai rendimenti provenienti dal loro impiego produttivo» (Cass. S.U. 14 aprile 2022, n. 12209), una recentissima sentenza della Suprema Corte, diffusamente ed approfonditamente argomentata - previamente riconosciuta la sintonia del diritto alla portabilità e al riscatto con l'assetto dato dal legislatore delegato al sistema previdenziale integrativo, mediante i decreti legislativi n. 124 del 1993 e n. 252 del 2005, con l'obiettivo di "«favorire la reale liberalizzazione dei diversi veicoli pensionistici complementari e l'affermazione piena di una reale consapevolezza del risparmiatore nella scelta dello strumento ritenuto più idoneo alla realizzazione della copertura previdenziale», in una cornice normativa volta ad ampliare le libertà di scelta dei lavoratori iscritti alle forme pensionistiche complementari, coerentemente con l'estensione dei margini di libera circolazione nel sistema della previdenza complementare e in una logica di sviluppo, in senso compiutamente europeo, della disciplina nazionale»" (Cass. 7 giugno 2023, n. 16116) - ha ritenuto "inidonee" le argomentazioni del precedente della Suprema Corte n. 2406 del 2022, peraltro riguardanti "solo incidentalmente il tema dell'accantonamento del t.f.r., ... a superare il pregresso orientamento", cui ha pertanto inteso dare continuità (Cass. 7 giugno 2023, n. 16116). Orbene, la Cassazione ha ritenuto "la necessità di ricostruire la volontà delle parti, accertando, in particolare, se il conferimento del T.f.r. sottenda una delegazione di pagamento (art. 1268 cod. civ.) ovvero la cessione di un credito futuro (art. 1260 cod. civ.)", trattandosi "di una qualificazione incidente sulla titolarità del diritto e sulla conseguente legittimazione a dedurlo in causa" - così ribadita l'affermazione di una recente sentenza della Corte costituzionale di una tale esigenza per "la mancata attuazione delle previsioni della legge delega in ordine alla contitolarità, in capo ai fondi pensione e agli iscritti, del diritto alla contribuzione e del diritto al TFR (art. 1, comma 2, lettera e, numero 8, della legge n. 243 del 2004)" (Corte cost. 15 luglio 2021, n. 154) - ed ha accolto il ricorso del soggetto escluso dallo stato passivo, enunciando il seguente principio di diritto: "In tema di previdenza complementare, il generico riferimento, "conferimento" del T.f.r. maturando alle forme pensionistiche complementari, lascia aperta la possibilità che le parti, nell'esplicazione dell'autonomia negoziale loro riconosciuta dall'ordinamento, pongano in essere non già una delegazione di pagamento (art. 1268 cod. civ.) bensì una cessione di credito futuro (art. 1260 cod. civ.). In caso di fallimento del datore di lavoro, la legittimazione ad insinuarsi al passivo per le quote di T.f.r. maturate e accantonate ma non versate al Fondo di previdenza complementare spetta, di regola, al lavoratore, stante lo scioglimento del rapporto di mandato in cui si estrinseca la delegazione di pagamento al datore di lavoro, salvo che dall'istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del Fondo predetto, cui in quel caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell'art. 93 legge fall." (Cass. 7 giugno 2023, n. 16116). Appare allora evidente come questa sia la natura del rapporto trilaterale tra le parti. Non già di cessione del credito futuro (della parte di retribuzione ovvero, come nel caso esaminato, di quota di T.f.r. maturando), vantato dal lavoratore (cedente), nei confronti del datore (debitore ceduto), al Fondo di previdenza complementare (cessionario). Il riflesso concorsuale della qualificazione operata comporta che, nel caso del fallimento del datore di lavoro, quale mandatario del lavoratore, il contratto di mandato si sciolga, a norma dell'art. 78, secondo comma L. fall., nel testo ratione temporis vigente di applicazione del d.lgs. n. 5/2006. E ciò sul presupposto di una varietà di ragioni (le principali delle quali: il venir meno del rapporto fiduciario tra mandatario e mandante, alla base della designazione, non adeguatamente tutelato nel fallimento, in caso di responsabilità del mandatario; l'incompatibilità tra esecuzione del mandato e vincoli imposti dalla procedura nell'amministrazione e nella liquidazione del suo patrimonio; la perdita di disponibilità del patrimonio da parte del fallito; l'infungibilità soggettiva della prestazione, tipica del mandato, preclusiva del subentro del curatore), tutte convergenti nell'obiettiva improseguibilità del rapporto. Sicché, lo scioglimento del contratto di mandato implica il ripristino della titolarità piena delle risorse, con esso affidate in gestione vincolata nella destinazione, in capo al lavoratore mandante, così legittimato ad insinuarsi allo stato passivo del fallimento del mandatario, suo datore di lavoro, fallito. Ne consegue, in definitiva, l'enunciazione dei seguenti principi di diritto: 1. "Premessa la distinzione dei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro - da cui il primo trae, con una parte della propria retribuzione, le risorse per la contribuzione o il conferimento delle quote di T.F.R. maturando - e tra lavoratore e Fondo di Previdenza Complementare - di natura contrattuale per il conseguimento, da parte del lavoratore medesimo, attraverso l'investimento da parte del Fondo, di una prestazione previdenziale integrativa - il datore di lavoro assume l'obbligo, sulla base di un mandato ricevuto dal lavoratore e salvo che non risulti dallo statuto del Fondo una cessione del credito, di accantonare e versare ad esso la contribuzione o il T.F.R. maturando conferito." 2. "Fino al compimento del versamento da parte del datore di lavoro, la contribuzione o le quote di T.F.R. maturando conferite, accantonate presso il datore di lavoro medesimo, hanno natura retributiva, mentre ha natura previdenziale la prestazione previdenziale integrativa erogata al lavoratore." 3. "Il mancato versamento, da parte del datore di lavoro insolvente, della contribuzione o delle quote di T.F.R. maturando conferite, accantonate su mandato del lavoratore con il vincolo di destinazione del loro versamento al comporta, per la risoluzione per inadempimento del mandato, il ripristino della disponibilità piena in capo al lavoratore delle risorse accantonate, di natura retributiva: posto che esse assumono natura previdenziale, soltanto all'attuazione del vincolo di destinazione, per effetto del suo adempimento." 4. "Il fallimento del datore di lavoro, quale mandatario del lavoratore, comporta lo scioglimento del contratto di mandato, ai sensi dell'art. 78, secondo comma L. fall. e il ripristino della titolarità, spettante di regola al lavoratore, così legittimato ad insinuarsi allo stato passivo, salvo che dall'istruttoria emerga che vi sia stata una cessione del credito in favore del (...) a cui in tal caso spetta la legittimazione attiva ai sensi dell'art. 93 L. fall."