Fattura elettronica: illegittimo il costo maggiorato per la sua emissione

In diverse zone del Paese, da qualche settimana si assiste spesso all’esposizione di cartelli riportanti la seguente avvertenza: “Si informa la gentile clientela che, a fronte della richiesta di emissione della fattura elettronica, verrà applicata una maggiorazione di X euro a titolo di rimborso spese”. Forse, con simili dazebao molti imprenditori hanno deciso di esplicitare tutta la loro insofferenza per l’indesiderato aggravio burocratico e, in ogni caso, non intendono sostenere alcun costo per l’emissione della e-fattura, ma tale addebito forfetario sul cliente è effettuato in violazione di legge, in quanto il D.P.R. n. 633/1972 prevede espressamente all’art. 21 che le spese di emissione della fattura non possano essere addebitate a qualsiasi titolo. Con tale modo di operare, quindi, si va ad imporre un balzello vietato dalla legge e a nulla può valere conferire a questo comportamento una dignità di bandiera di resistenza nei confronti di un adempimento vissuto come ingiustamente oppressivo, perché una rivalsa impropria su chi chiede il rilascio del documento digitale non è una silenziosa protesta civile, ma un modo illegale e arbitrario di gravare altri contribuenti dei propri oneri. Costo aggiuntivo vietato dalla legge La norma, infatti, dispone che i costi in argomento non possano ricadere sul cliente, anche perché se quest’ultimo per l’emissione della fattura deve sopportare un costo aggiuntivo potrebbe essere tentato alla fin fine di rinunciarvi, favorendosi così la mancata emissione del documento, il non regolare assolvimento dell'imposta e anche una conseguente impossibilità nella corretta detrazione del tributo. Purtroppo, invece, in questi giorni il problema è stato segnalato da parte di molti clienti di distributori di carburante e, meno frequentemente, anche nel settore del commercio al minuto e ristoranti, attività per le quali, come noto, l’art. 22 del decreto IVA stabilisce che l’emissione della fattura non è obbligatoria, salvo specifica richiesta da parte del cliente ed è per questo, allora, che proprio in quei locali sono stati rilevati i più frequenti casi di rifiuto di emissione della fattura elettronica in assenza di pagamento dell’obolo illegale, impedendo così ai soggetti passivi IVA di portare correttamente in detrazione il tributo e creando molte difficoltà a anche a consumatori finali nella raccolta della documentazione idonea per le richieste di rimborso-spese. Quali possibili sanzioni? Per quieto vivere, ovviamente, a fronte della persistente determinazione dell’esercente nella richiesta del pagamento di un costo “amministrativo” per l’emissione della e-fattura, molti prestano acquiescenza al pagamento dell’obolo, anche perché l’ordinamento tributario non prevede espressamente una sanzione diretta e dissuasiva per reprimere tale violazione di legge. Non sfugga, tuttavia, come la violazione degli obblighi inerenti alla mancata documentazione di operazioni imponibili ai fini dell'IVA è punita, ai sensi dell'art. 6, comma 1, D.Lgs. n. 471/1997, con la sanzione dal 90% al 180% dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato e non è revocabile in dubbio che, se una fattura non fosse emessa in quanto un cliente non ha inteso soggiacere al costo addebitato per l’emissione del documento in aperta violazione di legge, si potrebbe astrattamente ricadere nell’ipotesi di mancata emissione della fattura. Sotto il profilo probatorio, però, bisognerebbe porsi nella difficile condizione di poter dimostrare che la fattura, pur richiesta, non è stata rilasciata. In ogni caso, questo comportamento vessatorio di addebito delle spese di fatturazione configura comunque un illecito arricchimento del commerciante, comportando il possibile diritto per il consumatore ad ottenere la ripetizione di quanto indebitamente pagato: ma ci mancherebbe altro che si cominciassero ad intasare le aule di giustizia per cause civili afferenti questioni connesse al mancato rilascio della fattura elettronica. Se, tuttavia, tali comportamenti dovessero persistere si avrebbe certamente anche ragione di non tollerare più un abuso reiterato e suscettibile di comportare il diritto del cliente di poter agire non solo per la ripetizione dell’indebito, ma anche per il risarcimento del danno, pur nella consapevolezza che probabilmente nessuno intraprenderà mai (e meno male) un’azione civile. Autofattura elettronica come rimedio Qualcosa, però, si può comunque fare per riportare a miti consigli eventuali riottosi del rilascio gratuito del documento: in ambito amministrativo-tributario, infatti, il cessionario/committente che, nell'esercizio di imprese, arti o professioni, avesse acquistato beni o servizi senza che sia stata emessa fattura nei termini di legge (e tale sembra il caso anche di chi non avesse ricevuto la fattura per non aver voluto corrispondere costi per la sua emissione), potrà provvedere ad auto-fatturare elettronicamente l'operazione, ex art. 6, comma 8, D.Lgs. n. 471/1997, entro quattro mesi dalla data del mancato rilascio del documento. A quel punto, allora, sarebbe il codice TD20 inviato al Sistema di interscambio a denunciare al Fisco l’abuso e si costringerebbe l’Agenzia delle Entrate a decidere se possa considerarsi legittima la mancata emissione di una fattura elettronica a fronte del rifiuto del cliente di pagare addebiti in aperta violazione di legge. A parere di chi scrive, basterà richiamare sommariamente al commerciante queste ultime righe e, miracolosamente, il rilascio della e-fattura ritornerà gratuito come è giusto che sia, perché chiunque ritenga che la fatturazione elettronica sia un maleficio ha titolo per lamentarsi e protestare in sede politica con chi ha imposto l’obbligo, ma non ha la facoltà di potersela prendere con gli avventori del suo esercizio commerciale.

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