In tema di cessioni intracomunitarie, l’esenzione IVA (rectius la non imponibilità) è subordinata alla prova, da parte del cedente, che il bene sia stato spedito o trasportato in altro Stato membro e che, in seguito a tale spedizione o trasporto, detto bene abbia lasciato fisicamente il territorio dello Stato membro di cessione. Sono sufficienti a questo fine le fatture accompagnatorie, equiparate ai documenti di trasporto, i pagamenti relativi alle prestazioni in oggetto, effettuati con mezzi tracciabili, le dichiarazioni dei terzi clienti e gli elenchi INTRASTAT. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 30889 del 6 novembre 2023, con cui ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. IL FATTO La vicenda riguarda due avvisi di accertamento per IVA, relativi ai periodi di imposta 2013 e 2014, attinenti a operazioni intracomunitarie, di vendita verso soggetti Ue che, a seguito di verifica, una società non era riuscita a dimostrare come tali. Sia la C.T. Prov. che la C.T. Reg. accoglievano le doglianze della società. In particolare secondo la C.T. Reg., la merce era stata venduta franco fabbrica e consegnata ex works allo spedizioniere incaricato dall’acquirente stesso. Era stata ritenuta fornita la prova della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione sulla base di diversi elementi di prova (fatture accompagnatorie, pagamenti tracciabili, elenchi INTRASTAT, dichiarazioni dei clienti). Col successivo ricorso per cassazione, l’Agenzia delle Entrate, pur osservando che il diritto dell’Unione non pone limiti al contenuto della prova che deve essere data dal soggetto passivo, ritiene che gli elementi di prova addotti dalla sentenza impugnata a fondamento della natura intracomunitaria della cessione non sarebbero idonei ad assolvere l’onere della prova. La ricorrente ritiene, in particolare, che occorrano almeno due di tre elementi costituiti dal documento o lettera CMR sottoscritta, dalla polizza di carico o dalla fattura di trasporto emessa dallo spedizioniere, invocandosi, sotto questo profilo, l’applicazione del regolamento di esecuzione (Ue) n. 2018/1912. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Cassazione ha rigettato il ricorso dell’Agenzia delle Entrate. I giudici di legittimità hanno ricordato che, in caso di vendita con clausola “franco fabbrica”, il cedente ha diritto alla “esenzione” IVA ove fornisca la prova documentale rappresentativa della effettiva dislocazione della merce nel territorio dello Stato membro di destinazione (Cass. n. 4045/2019). In particolare, si è ritenuto che questa prova non debba essere data a mezzo di elementi di prova predeterminati, ma possa essere raggiunta anche tramite una prova alternativa ricavata da “fatti secondari”, da cui desumere la presenza delle merci in un territorio diverso dallo Stato di residenza (cfr. Cass. nn. 15552/2023, 32330/2022 e 26062/2015). Sono, ad esempio, state ritenute sufficienti allo scopo le ricevute di pagamento – recanti data, timbro e indicazione del chilometraggio dell’automezzo – sottoscritte dal titolare di una stazione di rifornimento carburante che risulti ubicata al di fuori del territorio di partenza ovvero nel territorio di destinazione delle merci (cfr. Cass. n. 19747/2013). Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha ritenuto sufficienti allo scopo la produzione di fatture accompagnatorie, equiparate ai documenti di trasporto, i pagamenti relativi alle prestazioni in oggetto, effettuati con mezzi tracciabili, le dichiarazioni dei terzi clienti e gli elenchi INTRASTAT, considerati elementi idonei ad accertare l’effettiva uscita dal territorio dello Stato della merce e l’attribuzione all’acquirente del potere di disporre dei beni come proprietario.