Nell’ambito di finanziamenti infragruppo con società non residenti in Italia, è legittima l’applicazione da parte dell’Ufficio del tasso di interesse al valore di mercato, superiore a quello pattuito dalle parti, con conseguente recupero di maggior reddito imponibile in capo all’impresa finanziatrice. In tale ambito l’Agenzia non deve dimostrare l’assenza di giustificazione economica dell’operazione finalizzata al risparmio d’imposta, in quanto non si tratta di contestazione di operazione elusiva, ma della diversa fattispecie rientrante nel transfert pricing internazionale. Questi i principi illustrati dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 2387 depositata il 29 gennaio 2019. IL FATTO A una società veniva notificato un Pvc a seguito di verifica fiscale, contenente rilievi ai fini delle imposte dirette ed Iva per diverse annualità, al quale seguivano diversi avvisi di accertamento. Per un periodo di imposta era contestata l’applicazione del tasso di interesse applicato dalla contribuente al prestito effettuato in favore della propria controllante di diritto lussemburghese. In sintesi l’Ufficio riteneva applicabile a detta operazione il tasso di interesse globale medio pari a circa il 6% annuo, recuperando quindi a tassazione il maggior importo che la controllata avrebbe percepito in base a detto tasso, il quale risultava quasi triplo rispetto a quello pattuito tra le parti. La società impugnava l’avviso di accertamento contestando sia il merito di ogni singolo rilievo sia un vizio relativo alla durata della verifica: tale ultima eccezione veniva accolta dalla CTP la quale annullava interamente l’atto impositivo. L’Agenzia proponeva appello, ritenuto fondato dalla CTR la quale, dopo aver disatteso l’originaria eccezione preliminare della contribuente, dichiarava fondati tutti i rilievi mossi alla società. In particolare non riteneva credibile il tasso degli interessi al 2,3% pattuito tra controllante e controllata, in quanto fuori mercato, a maggior ragione in un momento in cui l’appellata aveva avuto la necessità di reperire finanziamenti per sostenere i costi di alcune operazioni. La contribuente impugnava tale decisione ed in riferimento alla questione del transfer pricing ribadiva l’illegittima applicazione del tasso indicato dall’Ufficio, in quanto utilizzato tra operatori commerciali ed interbancari e con scopo speculativo, assente nella specie trattandosi di prestito tra imprese dello stesso gruppo. In via subordinata chiedeva l’applicazione del tasso legale dell’epoca pari al 2,5%, ben lontano da quello utilizzato dai verificatori. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato totalmente il ricorso proposto dalla contribuente. Secondo i giudici di legittimità non vi è stata da parte della CTR la lamentata violazione della normativa sul transfer pricing (art. 110 Dpr 917/1986). Infatti tale disciplina prevede la valutazione al valore normale dei componenti di reddito derivanti da operazioni infragruppo tra impresa italiana ed estera, si tratta del valore di mercato, applicato normalmente in operazioni analoghe: pertanto sotto tale aspetto appariva corretto l’operato dell’Ufficio che aveva indicato un tasso di interesse seguendo tali parametri. Come precisato dalla costante giurisprudenza di legittimità, nella specie, l’onere probatorio dell’Amministrazione si esaurisce nel dimostrare l’esistenza di un’operazione infragruppo e della pattuizione di un corrispettivo inferiore al valore normale, mentre il contribuente deve provare il contrario, cioè che la pattuizione corrisponde ai valori economici che il mercato attribuisce alle operazioni compiute. Inoltre, non è necessario in capo all’Ufficio l’onere di provare l’assenza di una ragione economica nell’operazione e il conseguente concreto risparmio d’imposta, trattandosi di presupposti costitutivi della fattispecie di elusione, diversa dalla regola del valore normale in ipotesi di transfert pricing internazionale. Infine nemmeno era possibile l’applicazione del tasso di interessi legale come richiesto in via subordinata dalla contribuente, in quanto si tratta di un criterio sussidiario rispetto a quello che prevede l’applicazione del prezzo di mercato.