Fusione per incorporazione, come determinare i valori in ingresso

Nei trasferimenti di residenza in Italia disciplinati dall’articolo 166-bis del Tuir, nella formulazione anteriore all’entrata in vigore delle disposizioni di recepimento della direttiva Atad, non è possibile attribuire automaticamente agli asset in entrata il valore determinato dallo Stato cosiddetto “white list” di provenienza, né è riconosciuta la rilevanza fiscale all’avviamento “autoprodotto” all’estero. È quanto chiarito dall’Agenzia delle Entrate nella risoluzione n. 92/E del 5 novembre 2019. IL QUESITO Una società italiana che, nel corso del 2018, aveva incorporato una società estera residente in un Paese collaborativo, con emersione di un disavanzo da fusione allocato contabilmente ad avviamento, ha presentato un’istanza di interpello sui nuovi investimenti ai sensi dell’articolo 2 del Dlgs n. 147/2015 (cosiddetto decreto “internazionalizzazione”), con la quale ha chiesto chiarimenti in merito alla disciplina dettata dall’articolo 166-bis del Tuir. L’interpellante chiedeva, in particolare, se tale norma consentisse: di attribuire automaticamente alle attività e passività della società estera il valore determinato dallo Stato di provenienza ai fini della c.d. exit tax ivi dovuta, essendo quest’ultimo in linea con i criteri elaborati dell’Ocse per la determinazione del prezzo di libera concorrenza (c.d. “arm’s length principle”); di attribuire, sempre ai sensi dell’art. 166-bis del Tuir, rilevanza fiscale alla posta che l’incorporante, in sede di allocazione del disavanzo da fusione, aveva imputato ad avviamento. LA RISPOSTA DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE Nella risoluzione in commento, al fine di fornire riscontro alle due questioni, l’Agenzia ricostruisce la disciplina dettata dall’articolo 166-bis. Tale norma, introdotta dal decreto “internazionalizzazione”, regola, come noto, le modalità di determinazione del valore degli asset dei soggetti che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia, accedendo per la prima volta nel nostro ordinamento (cosiddetta “entry tax”). L’art. 166-bis è stato modificato di recente dal Dlgs n. 142/2018, con il quale è stata recepita la direttiva (UE) 2016/1164 del 12 luglio 2016 (c.d. “Direttiva ATAD”). Come prevede l’art. 13, comma 1, le nuove disposizioni – che hanno introdotto alcuni elementi di novità nella disciplina - si applicano a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018. L’operazione descritta nell’istanza di interpello, tuttavia, era soggetta alla disciplina previgente, in quanto il trasferimento in Italia era avvenuto per effetto di una fusione per incorporazione iscritta nel Registro delle Imprese nel corso del 2018; per essa, quindi, le nuove disposizioni (ove non aventi carattere interpretativo) non dovevano trovare applicazione. Per quanto di specifico interesse nel caso in esame, la disciplina ratione temporis applicabile prevede(va) che “I soggetti che esercitano imprese commerciali provenienti da Stati o territori inclusi nella lista di cui all’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, che, trasferendosi nel territorio dello Stato, acquisiscono la residenza ai fini delle imposte sui redditi assumono quale valore fiscale delle attività e delle passività il valore normale delle stesse, da determinarsi ai sensi dell’articolo 9 [del Tuir, n.d.r]”. Con riferimento ai soggetti provenienti da Paesi collaborativi, dunque, l’art. 166-bis (vecchia formulazione) statuiva che le attività e passività in ingresso erano valorizzate ai fini fiscali utilizzando il criterio del valore normale. Ai fini della valorizzazione degli asset in entrata la medesima norma non conteneva alcuna menzione specifica del valore dell’avviamento, a differenza della disposizione attualmente recata dal comma 4 dell’art. 166-bis, come modificato dal Dlgs n. 142/2018. La risoluzione in commento fornisce alcuni chiarimenti in linea con i chiarimenti contenuti nella precedente risoluzione n. 69/2016, nonché con le precisazioni rese in occasione della risposta ai quesiti formulati nell’ambito dell’edizione “Telefisco” del 31 gennaio 2019. Inoltre, considerando la successione delle modifiche normative, la stessa fornisce importanti delucidazioni in merito all’ambito temporale di applicazione della disciplina di recepimento della direttiva ATAD con specifico riguardo alla rilevanza dell’avviamento. Andando con ordine, la risoluzione prima di tutto esclude la possibilità di recepire, in via automatica, il valore delle attività e passività in ingresso determinato nello Stato estero di provenienza ai fini della exit tax ivi eventualmente dovuta: la valorizzazione degli asset in entrata, infatti, deve (o meglio, doveva) essere effettuata utilizzando l’univoco e inderogabile criterio “domestico” del valore normale. Non avevano dunque rilievo le vicende dell’impresa avvenute nello Stato estero “white list” di provenienza, ivi compreso il pagamento di un’imposta in uscita. La risoluzione, tuttavia, contiene una importante precisazione per l’ipotesi in cui il valore degli asset sottoposto ad exit tax nello Stato estero di provenienza sia conforme ai criteri elaborati dall’Ocse per la determinazione del prezzo di libera concorrenza: l’Agenzia afferma, infatti, che tale valore (che nel caso di specie lo stesso istante aveva dichiarato essere conforme all’arm’s length principle) potrà comunque rilevare per la determinazione dei valori di ingresso qualora il contribuente ritenga autonomamente di operare in tal senso (fermi restando, in tal caso, gli ordinari poteri di controllo dell’amministrazione finanziaria di cui agli artt. 32 e ss. del Dpr n. 600/1973), oppure in sede di accordo ai sensi dell’art. 31-ter, comma 1, lett. a), del medesimo decreto. Quanto alla possibilità o meno di attribuire rilevanza fiscale all’avviamento, l’Agenzia dà rilievo alla circostanza che la disposizione dettata dall’art. 166-bis del Tuir, sempre avuto riguardo alla vecchia formulazione, si riferiva testualmente alle sole “attività” e delle “passività” dei soggetti che trasferiscono la loro residenza in Italia. Nel caso di specie, il valore iscritto nella voce “avviamento”, lungi dall’essere una attività o passività dell’incorporata, era emerso nel bilancio della incorporante solo per effetto della fusione per incorporazione, in quanto derivante dal disavanzo da fusione generato dall’operazione straordinaria, e dunque non poteva essere ricondotto al novero degli asset contemplati dalla disposizione in commento. Del resto, l’irrilevanza dell’avviamento in vigenza della precedente disposizione trova una sua indiretta conferma nel confronto tra il tenore letterale del vecchio articolo 166-bis e il precedente articolo 166 del Tuir (relativo, come noto, alla determinazione dell’imposizione in uscita che, in maniera speculare, in estrema sintesi, si preoccupa di garantire il prelievo tributario su tutti i plusvalori maturati nel territorio dello Stato in occasione della fuoriuscita dei soggetti dal territorio dello Stato). Tale ultima disposizione attribuiva rilievo – ai fini della determinazione della corrispondente imposta – ai “componenti dell’azienda o del complesso aziendale”, utilizzando una definizione più ampia di quella contenuta nell’articolo 166-bis (riferita, come più volte detto, ad attività e passività), nell’ambito della quale può considerarsi inequivocabile, secondo i parametri del diritto civile, l’inclusione (anche) del valore dell’avviamento. Diverso, invece, appare il riferimento ad “attività e passività” ad opera del successivo articolo 166-bis che opera un puntamento non tanto agli elementi strutturali dell’azienda bensì agli elementi strutturali del patrimonio, tra cui può essere ricompreso l’avviamento ma solo a condizione che risulti iscritto, ossia solo se acquistato a titolo oneroso e nei limiti del costo per esso sostenuto (cfr. art. 2426 c.c.). A tale riguardo, la risoluzione fornisce un’importante precisazione, nella misura in cui esclude la possibilità di applicare all’operazione descritta nell’interpello (perfezionata nel corso del 2018), le previsioni contenute nel nuovo comma 4 dell’articolo 166-bis, nella formulazione “post ATAD”. Tale norma, infatti, a differenza del passato statuisce espressamente che “Il valore di mercato di cui al comma 3 è determinato (...) tenendo conto, qualora si tratti di valore riferibile a un complesso aziendale o a un ramo di azienda, del valore dell’avviamento, calcolato tenendo conto delle funzioni e dei rischi trasferiti”. La formulazione letterale della disposizione – che riconosce espressamente rilievo fiscale in sede di “ingresso” anche all’avviamento “autoprodotto” all’estero – rappresenta, in altri termini, il frutto di una precisa volontà legislativa in funzione della quale – tenuto conto del testo della precedente disposizione e dell’interpretazione che ne era stata resa (cfr. risoluzione n. 69/2013 citata) è stato necessario modificare l’art. 166-bis. Tale modifica, pertanto, non assumendo portata interpretativa assume rilievo a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018.

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