Va retribuito il professionista che ha effettuato, sino all’inizio del 2008, adempimenti fiscali (nel dettaglio: registrazioni Iva, elaborazione e trasmissione telematica della comunicazione annuale dei dati Iva, elaborazione del modello Unico) senza essere iscritto all’Albo unico dei dottori commercialisti. Lo prevede la Corte di cassazione con la sentenza n. 22459 del 9 settembre 2019, con la quale si puntualizza anche l’area applicativa del precedente intervento delle Sezioni unite penali del 2012 sulla rilevanza della condotta di chi ha svolto attività previste in esclusiva per gli aderenti all’Albo. La pronuncia ha così respinto il ricorso presentato da un ingegnere contro la condanna al pagamento di circa 7mila euro a titolo di compenso per gli adempimenti tributari effettuati per suo conto tra il 2005 e il 2007, da chi all’epoca non era inserito nell’Albo. Per la Cassazione, infatti, va tenuto presente innanzitutto che le attività di consulenza fiscale svolte sono state oggetto di riserva solo in seguito all’entrata in vigore del decreto legislativo n. 139 del 2005, provvedimento la cui entrata in vigore non è stata però immediata ma differita al 1° gennaio 2008. Era stata infatti articolata una disciplina transitoria, sottolinea la sentenza, con la quale era previsto che la soppressione degli ordini dei dottori commercialisti e dei collegi dei ragionieri e periti commerciali diventasse operativa solo dal 2008, provvedendo contestualmente all’istituzione sul territorio dell’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. Il principio di diritto espresso dalle Sezioni unite penali, con la sentenza n. 11545 del 2012, stabilisce di considerare penalmente rilevante lo «svolgimento di attività in una data successiva al 1° gennaio 2008, allorquando appunto è stato istituito l’Albo unico, dovendo per converso ritenersi che le prestazioni rese in epoca anteriore, sebbene in data successiva alla formale emanazione del citato decreto legislativo, fossero ancora lecite, legittimando il diritto al pagamento del corrispettivo». Del resto, a volere seguire una linea interpretativa diversa, constata la Cassazione, i risultati sarebbero assolutamente paradossali: l’attività oggetto della causa infatti non potrebbe nei fatti essere stata legittimamente svolta da nessuno, nel periodo tra il 2005 e l’inizio del 2008, visto che si sarebbe dovuta considerare riservata ai soli iscritti a un Albo, ancora lontano dall’essere operativo. Indispensabile quindi il riferimento alla normativa che regolamenta la fase transitoria, che lega al 2008 l’operatività dell’Albo. A nulla è poi servito il richiamo da parte della difesa a un’ordinanza della stessa Cassazione, la n. 32473 del 2018, sempre in una causa tra le medesime parti. A fare la differenza infatti, spingendo la Corte a opposte conclusioni, era la diversa attività oggetto della contestazione. Si trattava infatti di un’attività, la contabilità generale e la liquidazione Iva, già ritenuta riservata ai soli dottori commercialisti, senza alcun effetto provocato dalla riforma del decreto legislativo del 2005.