Gli obiettivi per la retribuzione variabile non fissati aprono al risarcimento

Nel contratto di lavoro o nella lettera di assunzione di dipendenti apicali (dirigenti e quadri con funzioni di responsabilità e coordinamento), è spesso inserita una clausola che prevede un sistema premiante in cui l’effettiva erogazione di bonus o premi aziendali in aggiunta alla retribuzione fissa e, talvolta, in misura proporzionale ad essa, è condizionata al raggiungimento di obiettivi, individuali e/o aziendali, fissati dal datore di lavoro. Gli obiettivi, stabiliti dal datore di lavoro a cadenze predeterminate (generalmente annuale) e tempestivamente comunicati al dipendente, necessitano di una delineazione dettagliata accompagnata da una chiara individuazione dei relativi criteri di misurazione rispetto al loro raggiungimento. La questione principale su cui si sono interrogati gli operatori del diritto è quella delle conseguenze della omessa fissazione degli obiettivi da parte del datore di lavoro. Pur in presenza di una precisa clausola contrattuale, può accadere, infatti, che il datore di lavoro non determini annualmente gli obiettivi e non li comunichi al lavoratore, con conseguente negazione del pagamento del bonus. Sul tema la giurisprudenza ha elaborato, negli anni, differenti e non unanimi orientamenti. In passato, i giudici hanno ritenuto che la mancata assegnazione degli obiettivi fosse, di per sé, sufficiente ad attribuire al dipendente il diritto di percepire la retribuzione variabile. In particolare, la giurisprudenza, principalmente di merito, inquadrando l’accordo che subordina l’erogazione del bonus al raggiungimento degli obiettivi come negozio sottoposto a condizione sospensiva, ha ritenuto applicabile la disciplina della finzione di avveramento ex art. 1359 c.c., ai sensi del quale la condizione si considera avverata se è mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento. Secondo questo indirizzo, nell’ipotesi in cui il raggiungimento degli obiettivi sia divenuto impossibile a causa del comportamento omissivo del datore di lavoro, sussisterebbe il diritto del lavoratore a percepire la retribuzione variabile. Tale orientamento è stato superato da un indirizzo che offre un impianto argomentativo totalmente differente: per la giurisprudenza maggioritaria, sia di legittimità sia di merito, in mancanza di qualsiasi determinazione degli obiettivi, il lavoratore non può invocare un intervento suppletivo del giudice, non avendo quest’ultimo il potere di fissare i parametri di riferimento degli obiettivi da conseguire e quantificare, quindi, il compenso dovuto (Cass. n. 13953/2009). Secondo tale indirizzo, ormai prevalente e recentemente ribadito, la mancata fissazione degli obiettivi da parte del datore integra un inadempimento contrattuale ex art. 1218 c.c. a cui non consegue automaticamente il diritto del lavoratore al pagamento del bonus, ma esclusivamente la possibilità per quest’ultimo di ottenere il risarcimento del danno derivatogli dalla perdita della chance di conseguire l’emolumento (Cass. n. 2293/2018; Cass. n. 23607/2018; App. Milano n. 1712/2017; App. Torino n. 226/2019). L’applicazione delle regole del danno da perdita di chance – un danno futuro non consistente nel venir meno di un vantaggio economico, ma della possibilità di conseguirlo – rende arduo per il lavoratore l’ottenimento di un’effettiva tutela. Per costante giurisprudenza, infatti, dall’inadempimento datoriale non può discendere automaticamente l’esistenza del danno, dovendo lo stesso essere provato nella sua effettività ed entità (Cass. n. 13959/2014). Per i giudici, pertanto, il pregiudizio, patito a causa dell’omessa previsione degli obiettivi e/o criteri per la relativa determinazione, è risarcibile esclusivamente a fronte della dimostrazione del danno da parte del dipendente. L’onere probatorio risulta particolarmente gravoso: il lavoratore, infatti, deve provare il pregiudizio subito per mezzo di una valutazione ex ante, allegando specifiche circostanze da cui poter dedurre, anche solo in via presuntiva, che egli, laddove gli obiettivi fossero stati fissati, avrebbe ottenuto il diritto al pagamento totale o parziale del bonus. Come recentemente chiarito dalla giurisprudenza (Trib. Milano 24 luglio 2019), il lavoratore è tenuto ad allegare e dimostrare di aver compiuto un’attività e perseguito determinati risultati che, in caso di fissazione di obiettivi raggiungibili, gli avrebbero permesso di conseguire la parte di retribuzione variabile negata. Per quanto sia ammesso il ricorso a fattori presuntivi, queste presunzioni devono in ogni caso risultare ancorate a elementi di natura oggettiva in grado di far desumere in maniera attendibile l’esistenza della chance perduta, con conseguente valutazione equitativa delle somme spettanti ove tale prova venga fornita. Anche per la quantificazione del danno subito il lavoratore sarà, comunque, tenuto a fornire ogni elemento di fatto utile a tale fine (Cass. n. 25102/2017).

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Il lavoratore deve però provare il danno subito a causa del comportamento omissivo del datore di lavoro

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