Nel patrocinio a spese dello Stato, non è prevista alcuna decadenza per l'avvocato che depositi l'istanza di liquidazione dei compensi in un momento successivo alla pronuncia. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza n. 22448 del 9 settembre 2019, affermando un principio di diritto. La II Sezione ha così risolto un contrasto, tra le Corti di merito, derivante dal fatto che la Finanziaria 2015 (legge 208, art. 1, co. 783), modificando il Testo unico in materia di spese di giustizia, ha previsto la contestualità tra la «pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta» ed il «decreto di pagamento emesso dal giudice». Una contestualità, spiega oggi la Corte, da non prendere come un vincolo insuperabile bensì come stimolo alla celerità. Il caso era quello di un legale che (dopo aver assistito il proprio cliente in una controversia di lavoro) aveva presentato l'istanza di liquidazione dei compensi due giorni dopo la pronuncia della decisione, ed il Tribunale di Ferrara l'aveva respinta perché tardiva. La Suprema corte, pur dichiarando inammissibile il ricorso (perché proposto per saltum), vistane la «particolare importanza», ha comunque affrontato la questione. Secondo un prima interpretazione, ricostruisce la Cassazione, la novella avrebbe introdotto un termine per il deposito dell'istanza di liquidazione degli onorari, con la conseguenza che, per le istanze depositate oltre tale termine, il magistrato sarebbe tenuto a dichiarare il "non luogo a provvedere". Per un altro orientamento, la preclusione sarebbe da qualificare in termini di decadenza, cosicché le relative istanze, se tardive, sarebbero «inammissibili». Un'ultima tesi, infine, rinviene una preclusione dell'attività decisoria tutte le volte in cui il giudice, nelle more, «abbia deciso controversia principale». «Risulta tuttavia maggioritaria – prosegue la sentenza -, almeno in relazione al numero di provvedimenti editi sulle riviste giuridiche, la soluzione secondo cui l'art. 83, comma 3 bis, del Dpr n. 115 del 2002 dovrebbe essere interpretato nel senso di aver inserito un referente temporale "meramente indicativo, ai fini di maggiore razionalizzazione del sistema, del termine preferibile per la pronuncia", da parte del giudice, del decreto di liquidazione». Lo scopo della norma sarebbe dunque quello di «accelerare la decisione», favorendo «liquidazioni tempestive», senza perdita della potestas decidendi ove la richiesta sia fuori tempo. In questo senso depone anche la lettera della legge che non cita mai la "decadenza". Mentre non regge il paragone con la differente disciplina relativa agli ausiliari del giudice. Inoltre, l'esclusione per il giudice del merito, una volta definito il giudizio, del potere di liquidazione del compenso all'avvocato, «imporrebbe la necessità di riproporre la domanda in sede ordinaria nei confronti dello Stato, con un giudizio affidato ad un giudice verosimilmente diverso». E mediante una domanda autonoma che potrebbe portare anche ad una condanna alle spese per lo Stato. Infine, potrebbe sorgere la necessità di accertamenti, per cui, «per non perdere il potere di delibare sulla liquidazione, il giudice dovrebbe attenderne l'esito con conseguente dilatazione dei tempi». Una serie di ragioni dunque messe in fila dalla Cassazione per arrivare all'affermazione del seguente principio di diritto: «l'art. 83 comma 3 bis del Dpr n. 115 del 2002, che ha previsto che il decreto di pagamento debba essere emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta, relativamente ai compensi richiesti dal difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, non prevede alcuna decadenza a carico del professionista che abbia depositato la relativa istanza dopo la pronuncia del detto provvedimento, né impedisce al giudice di potersi pronunciare sulla richiesta dopo che si sia pronunciato definitivamente sul merito, avendo in realtà la finalità in chiave acceleratoria, di raccomandare che la pronuncia del decreto di pagamento avvenga contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude il giudizio».