L'atto con cui l’Amministrazione finanziaria manifesta il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo non è un atto impugnabile dinanzi al giudice tributario. Tale atto, infatti, non rientra nell’elenco previsto dall’art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 e non è, quindi, impugnabile, sia per la discrezionalità che connota l’attività di autotutela, sia perché si originerebbe una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai definitivo. Il principio è stato sancito dalla V sezione della Corte di Cassazione con ordinanza n. 10879 del 18 aprile 2019. IL FATTO La società contribuente aveva impugnato la cartella di pagamento emessa dall’ufficio finanziario per tributi non pagati. La Commissione tributaria provinciale ha respinto il ricorso contro il diniego di sgravio (totale), e la CTR ha dichiarato inammissibile l’appello della società. La società ha proposto ricorso per cassazione, eccependo la violazione dell’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 (“Atti impugnabili e oggetto del ricorso”) per aver la sentenza di appello escluso la impugnabilità dell’atto di diniego di sgravio di una cartella di pagamento. La normativa L’istituto dell’autotutela tributaria che interessa naturalmente la parte pubblica ossia la Pubblica Amministrazione, è il potere-dovere di correggere o eliminare, su propria iniziativa o su istanza del soggetto che ne ha interesse, gli atti già posti in essere che, tuttavia, possono risultare illegittimi o infondati ad un successivo esame. Il potere di annullamento e di revoca o di rinuncia all’imposizione in caso di auto-accertamento viene demandato all’ufficio finanziario che ha emanato l’atto illegittimo o che è competente per gli accertamenti d’ufficio ovvero in via sostitutiva, in ipotesi di grave inerzia, alla Direzione regionale delle Entrate o compartimentale dalla quale l’ufficio stesso dipende. L’ufficio che procede all’emanazione dell’atto in autotutela è tenuto a darne preventivo avviso al soggetto destinatario e al giudice competente dinanzi al quale pende il giudizio. Occorre ricordare che l’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992 elenca tutti gli atti impugnabilità tra cui non è annoverato il diniego di sgravio, anche se la giurisprudenza di legittimità ha esteso l’elenco di cui trattasi includendovi alcuni atti (ad esempio, estratto di ruolo) che per prassi consolidata sono impugnabili dinanzi alle Commissioni tributarie. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha ritenuto che in tema di contenzioso tributario, l’atto con il quale l’Amministrazione finanziaria manifesti il rifiuto di ritirare, in via di autotutela, un atto impositivo diventato definitivo, non rientra nella previsione di cui all’art. 19, D.Lgs. n. 546/1992, e non è pertanto impugnabile, sia per la discrezionalità che connota l’attività di autotutela, sia perché si originerebbe una inammissibile controversia sulla legittimità di un atto impositivo ormai divenuto definitivo. Un sindacato giurisdizionale sul diniego impugnato, espresso o tacito, ha affermato la Corte, può riguardare solo eventuali profili di illegittimità del rifiuto dell’Amministrazione, anche perché la configurazione dell’autotutela tributaria e del relativo sindacato è stata ritenuta legittima dalla Corte Costituzionale (cfr. sentenza n. 181/2017). Il ricorso avverso il diniego di autotutela opposto dal Fisco è ammissibile, ma il sindacato può esercitarsi, nelle forme ammesse sugli atti discrezionali, soltanto sulla legittimità del rifiuto e non sulla fondatezza della pretesa tributaria (Cass. 2513572018; 18999/2018). Per quanto esposto la Corte di Cassazione non ha accolto il ricorso della società condannando la medesima alle spese di lite.