La presunzione di maggiori ricavi motivata sul principio di una consolidata prassi commerciale, in base alla circostanza che tra il gestore di apparecchi di intrattenimento e gli esercenti la percentuale di ripartizione degli incassi devono essere equivalenti, non costituisce elemento fondante di una decisione giudiziale. E, dunque, è viziata la sentenza che si basa su cognizioni di comune esperienza le quali non possono annoverarsi tra le nozioni di fatto aventi quel grado di certezza tale da apparire indubitabile e incontestabile. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23546 del 20 settembre 2019. IL FATTO La società ricorreva per cassazione avverso una sentenza della Ctr Piemonte che aveva confermato la legittimità di un avviso di accertamento emesso a seguito della ricostruzione di maggiori ricavi basata sul fatto che la percentuale del gestore e dell’esercente dovesse essere uguale: secondo i giudici, infatti, per consolidata prassi, gli incassi del contribuente sottoposto a verifica non potevano essere inferiori a quelli spettanti all’esercente, ma ripartiti in uguale misura. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione, nel riconoscere la fondatezza di tale motivo, cassando con rinvio la sentenza impugnata, rifacendosi a precedenti pronunce afferma, in maniera risoluta, che il ricorso alle nozioni di comune esperienza, ovvero al fatto notorio, integra una vera e propria deroga al principio dispositivo delle prove e del contraddittorio. La problematica principale, su cui ruota la decisione, attiene alla censurabilità, in sede di cassazione, dell’utilizzo del fatto notorio da parte del giudice di merito. Il fatto che la quantificazione dei maggiori ricavi sia stata desunta sulla base di una paritetica ripartizione percentuale, dedotta da prassi commerciale considerata consolidata, comporta, in quanto vengono introdotti elementi probatori non forniti dalla parti, il rispetto di un particolare rigore nella valutazione dei fatti che devono essere connotati da certezza e indubitabilità. Viene escluso, quindi, che il concetto di fatto notorio possa ricavarsi da elementi valutativi o a eventi soltanto probabili e senza il dovuto riscontro in dati certi. I giudici, infine, fanno notare che neppure possono ritenersi notori, in quanto non universali, quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice anche se formatasi in altri casi analoghi.