Con l’ordinanza n. 23190 del 31 luglio 2023, la Corte di Cassazione ha affermato il principio per cui il credito per le imposte assolte all’estero (art. 165 del TUIR) spetta solamente a fronte della presentazione della dichiarazione dei redditi in Italia, ed è conseguentemente precluso nel momento in cui la dichiarazione è stata omessa, anche nelle situazioni in cui questo comportamento risulta legittimo. Si tratta di un passo indietro significativo rispetto ad alcuni precedenti di giurisprudenza, anche della stessa Suprema Corte, sul tema. IL FATTO Il caso riguarda le ritenute effettuate dal datore di lavoro (nella specie, Eni spa) sulle prestazioni di lavoro dipendente rese in Congo, con riferimento al periodo di imposta 2009, da un lavoratore italiano; in tale periodo, il lavoratore non aveva conseguito altri redditi rispetto a quelli di lavoro dipendente e non aveva conseguentemente presentato la dichiarazione dei redditi, essendo esonerato dal relativo obbligo (in sostanza, in quanto la Certificazione Unica rilasciata dal datore di lavoro aveva un pieno effetto sostitutivo della dichiarazione). Per tale ragione, l’Amministrazione finanziaria ha negato il riconoscimento del credito di imposta ex art. 165 del TUIR, richiesto per il tramite dell’istanza di rimborso delle ritenute prelevate in eccesso. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE Va fin da subito rilevato che la Corte di Cassazione ha ritenuto fuorviante il richiamo alla Convenzione Italia-Congo, invocata dal lavoratore, in virtù del fatto che nel periodo di imposta 2009, anno oggetto di contestazione, il Trattato non fosse ancora in vigore (la Convenzione Italia-Congo, siglata nel 2003, è infatti entrata in vigore dal 2014). Per l’annualità in esame vale, quindi, il principio generale per cui il prelievo è definitivo se ciò è previsto (solo) dall’ordinamento dello Stato estero. L’eventuale efficacia delle disposizioni convenzionali avrebbe potuto, sotto il profilo del trattamento dei redditi di lavoro dipendente, condurre a esiti diversi circa la definitività dell’imposta assolta all’estero a seconda che siano verificate o meno le condizioni di esenzione nello Stato estero. Infatti, in conformità al modello OCSE, l’art. 15 della Convenzione Italia-Congo dispone l’esenzione dei redditi di lavoro dipendente nello Stato della fonte se il datore di lavoro è italiano e la permanenza all’estero non eccede i 183 giorni. Sebbene la prima condizione sembri verificata (il datore di lavoro opera come sostituto d’imposta), nulla è specificato circa la durata della permanenza nello Stato africano: ove la permanenza ecceda la soglia, il Congo avrebbe titolo a prelevare l’imposta, che diverrebbe quindi definitiva nella prospettiva italiana. Ciò premesso, la Cassazione, con l’ordinanza in esame, fornisce una rigida interpretazione dell’art. 165 comma 8 del TUIR, norma in base alla quale “la detrazione non spetta in caso di omessa presentazione della dichiarazione o di omessa indicazione dei redditi prodotti all’estero nella dichiarazione presentata”; tale impostazione si pone in sostanziale continuità con la circ. Agenzia delle Entrate n. 9/2015, § 3.4. Secondo i giudici, il dato letterale di tale disposizione non sembra superabile, in quanto la dichiarazione dei redditi è volta a porre in evidenza l’importo da accreditare; sul punto, è altresì richiamata la Cassazione n. 20666/2021, in base alla quale non rileva se il contribuente sia o meno obbligato alla presentazione della dichiarazione dei redditi, in quanto quest’ultima rappresenta una condizione per fruire del credito di imposta con riferimento al reddito estero, che quindi deve essere ricavabile dalla dichiarazione dei redditi. In altre parole, nel momento in cui l’imposta assolta all’estero diviene definitiva, il lavoratore, pur non essendone obbligato, sarebbe tenuto all’indicazione del reddito di fonte estera nella dichiarazione dei redditi, al fine di fruire della detrazione delle imposte. La nuova pronuncia si pone in contrasto, ribaltandone le conclusioni, con la precedente sentenza 14 aprile 2021 n. 9725, la quale aveva invece stabilito che il credito per le imposte pagate all’estero di cui all’art. 165 del TUIR compete anche se il contribuente non ha presentato la dichiarazione in Italia (suo Stato di residenza). Anche la giurisprudenza di merito aveva esaminato la questione con esiti favorevoli al contribuente; in particolare, secondo la C.T. Prov. Milano n. 2944/17/15 l’art. 165 comma 8 del TUIR risulterebbe incostituzionale e in contrasto con la Convenzione che lega l’Italia all’altro Stato (nel caso specifico, la Francia), la quale non subordina a un adempimento strumentale quale la dichiarazione la fruizione del credito per le imposte estere; in senso conforme, anche la C.T. Reg. Perugia n. 166/3/17 e la C.T. Reg. Milano n. 233/32/16. La nuova pronuncia pone, in definitiva, dubbi non da poco anche in relazione al contenzioso in essere, posto che si torna a valorizzare un dato formale (la dichiarazione) e non l’esigenza, insita nel Commentario agli artt. 23-A e 23-B del modello OCSE, di limitare la doppia imposizione internazionale del medesimo reddito, la quale prescinde invece da tali vincoli.