La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 163 del 4 luglio 2019, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale posta dalla Commissione tributaria provinciale di Parma. Secondo La Ctp la deducibilità al 20% di quanto versato a titolo di IMU dal reddito imponibile ai fini delle imposte erariali sui redditi violerebbe il principio di capacità contributiva, atteso che questi ultimi tributi finirebbero per gravare non sul reddito netto, quale indice di ricchezza effettivo, bensì su quello lordo, fittiziamente attribuito. IL FATTO La Commissione tributaria provinciale di Parma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 14 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23 (Disposizioni in materia di federalismo Fiscale Municipale), in riferimento all’art. 53 della Costituzione. Secondo il rimettente, la deducibilità al 20% di quanto versato a titolo di imposta municipale propria (IMU) dal reddito imponibile ai fini delle imposte erariali sui redditi violerebbe il principio di capacità contributiva, atteso che questi ultimi tributi finirebbero per gravare non sul reddito netto, quale indice di ricchezza effettivo, bensì su quello lordo, fittiziamente attribuito. Tale vulnus al principio di capacità contributiva non sarebbe ovviato dalla forfetizzazione del quantum deducibile, ingiustificata e arbitraria. LA DECISIONE DELLA CORTE COSTITUZIONALE La Corte Costituzionale rileva che la questione è stata sollevata esclusivamente in relazione alla norma che consente la deducibilità del 20% dell’IMU pagata sugli immobili strumentali e, quindi, riguarda solo l’anno d’imposta 2014. La normativa, nella versione originaria, applicabile al periodo di imposta 2012, statuiva che «[l]’imposta municipale propria è indeducibile dalle imposte erariali sui redditi e dall’imposta regionale sulle attività produttive». Successivamente, l’art. 1 della legge 27 dicembre 2013, n. 147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)», ha stabilito che, a decorrere dal 1° gennaio 2014 (comma 749), «[l]’imposta municipale propria relativa agli immobili strumentali è deducibile ai fini della determinazione del reddito di impresa e del reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni nella misura del 20 per cento [...]» (comma 715) e precisando altresì che «[l]a disposizione in materia di deducibilità dell’imposta municipale propria ai fini dell’imposta sui redditi, di cui al comma 715, ha effetto a decorrere dal periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013. Per il periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2013, l’aliquota di cui al comma 715 è elevata al 30 per cento [...]» (comma 716). Successivamente, a decorrere dal 1° gennaio 2019 la deducibilità dell’IMU è passata al 40% dalle imposte sui redditi, e infine elevata al 50% dall’art. 3 del decreto legge 30 aprile 2019, n. 34 (Misure urgenti di crescita economica e per la risoluzione di specifiche situazioni di crisi), il quale ha anche stabilito che essa aumenti al sessanta per cento per il periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019 e al 31 dicembre 2020 e al settanta per cento a decorrere dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2021. La Corte Costituzionale inoltre evidenzia che l’ordinanza di rimessione omette di precisare se la richiesta di rimborso oggetto del giudizio principale afferisca, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, alla deduzione percentuale dell’IMU «relativa agli immobili strumentali». Tale carenza descrittiva si traduce, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, poiché l’art. 14, comma 1, primo periodo, del d.lgs. n. 23 del 2011 consente la deducibilità, ai fini della determinazione del reddito d’impresa, solo per tale tipologia di beni. Inoltre l’oggetto del giudizio a quo riguarda il triennio fiscale 2012-2014, contrassegnato da un triplice diverso regime della deducibilità dell’IMU: quello del 2012 caratterizzato dalla assoluta indeducibilità; quello del 2013 connotato da una deducibilità nella misura del trenta per cento; quello del 2014 in cui detta misura è stata ridotta al venti per cento. Denunciando l’illegittimità costituzionale solo di quest’ultimo regime, il rimettente non spiega perché analoghi dubbi non riguarderebbero quello, ancor meno vantaggioso, dell’anno 2012 e quello del 2013, in cui la deducibilità è stata fissata al trenta per cento. Da quanto rilevato la Corte Costituzionale dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale.