Corte di Cassazione - Sentenza n. 39333 del 25 settembre 2019 Con la sentenza n. 39333 del 25 settembre 2019, la Corte di Cassazione ha chiarito che il contribuente può concorrere nell’illecito penale tributario di indebita compensazione commesso dal proprio commercialista, ove sia stato consapevole della frode anche in virtù della propria inerzia e dell’omesso controllo sulla propria situazione debitoria nei confronti del fisco. In tal caso, per applicare il sequestro preventivo nei suoi confronti in fase cautelare, non è necessario valutare la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, essendo sufficiente l’astratta realizzazione di una determinata ipotesi di reato, del fatto contestato. IL FATTO Un contribuente era indagato insieme ai propri commercialisti, per il reato tributario di indebita compensazione. Nel corso delle indagini preliminari veniva eseguito un sequestro preventivo nei suoi confronti. Avverso tale misura era proposto ricorso al tribunale del riesame che però lo rigettava. La difesa impugnava allora la pronuncia in cassazione, evidenziando che il tribunale non aveva fornito giustificazione al fatto che il ricorrente inizialmente fosse stato considerato vittima del reato e solo successivamente un concorrente nel medesimo e non erano state chiarite determinanti circostanze: il ruolo concreto svolto, il previo accordo fraudolento con lo studio professionale che lo assisteva; la propria consapevolezza sull’illiceità delle operazioni di indebita compensazione fiscale effettuate in concorso. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso del contribuente. Ad avviso dei giudici di legittimità, il tribunale del riesame ha evidenziato l’incidenza dell’attività (illecita) attribuibile al contribuente, rispetto alla realizzazione del reato tributario ascritto ai professionisti che lo assistevano. In particolare, il riesame, ha dato inizialmente conto dei fatti allegati dalla difesa del ricorrente, con riferimento, in particolare, all’avvenuto pagamento del corrispettivo per la prestazione offerta dai propri commercialisti e all’asserita mancanza assoluta di originaria consapevolezza sulla frode effettuata dai consulenti. Al contempo però l’ordinanza, ha rammentato l’esistenza in capo al contribuente di un debito fiscale di quasi 700.000 euro con un importo corrispondente di crediti inesistenti. Nonostante tali importi, il contribuente poi aveva dedotto neppure la concreta esistenza di crediti idonei a contrastare la pretesa erariale.