L’inquadramento degli influencer come agenti di commercio effettuato dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 2615/2024 non apre solo dubbi sulla gestione previdenziale di tali lavoratori ma porta ad interrogarsi su tutto il loro inquadramento nel contesto giuridico nazionale. Definizione della professione di influencer La professione di influencer è divenuta oggi attività di rilevante interesse tanto da essere negli anni anche oggetto di specifici interpelli e sentenze per la sua gestione amministrativa. Se volessimo dare una definizione dell’influencer potremmo in termini generale fare riferimento ad una attività, svolta attraverso una o più piattaforme digitali, nell’ambito della quale vengono effettuate una serie di prestazioni con oggetto la sponsorizzazione diretta di brand o la produzione di contenuti video nell’ambito dei quali la piattaforma inserisce spot pubblicitari. Tale attività potrebbe in realtà essere diversamente divisa proprio tra influencer e content creator o brand ambassador. La prestazione svolta da questi soggetti ha però la necessità di essere inquadrata all’interno, ovviamente, di un meccanismo fiscale tradizionale che le riporta a figure note e “classiche” del panorama fiscale, previdenziale e giuridico. All’interno dell’anzidetta distinzione possiamo riprendere il ruolo dell’influenzatore di utenti con dei guadagni (o codici sconto) in relazione ai prodotti venduti dall’azienda che si va a promuovere; mentre diversamente si può configurare l’attività di brand amabassador con promozione di un bene o servizio dietro compenso fisso o comunque slegato dalle vendite. Da sottolineare preliminarmente che la Cassazione n. 26987/2019 ha affermato che l’Agenzia delle Entrate possa avvalersi, nell’effettuare i controlli sugli evasori, dei dati forniti dai social network per fondare le proprie contestazioni, accertando i redditi non dichiarati. In questo caso appare più che mai alla luce del sole l’attività lucrativa esercitata, e di conseguenza relativamente semplice l’attività di controllo. Aspetti fiscali Nella sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Regione Piemonte, n. 219/2/23 relativa al caso Cristiano Ronaldo si è arrivati alla conclusione che la gestione della propria immagine in modo abituale e professionale possiede i connotati tipici dell’attività di lavoro autonomo e, dunque, tutti i proventi ritratti per effetto dello svolgimento dell’attività di influencer rappresentano, per il percettore, reddito di lavoro autonomo esercitato abitualmente. L’attività di influencer non come cessione dei diritti d’immagine ma attività lavorativa autonoma. Sul piano fiscale, che con tale decisione condivide la sua definizione come attività autonoma, vi è anche quella della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Regione Lombardia, n. 468/7/24, che ha sancito che il vestiario utilizzato dal contribuente (un influencer nel campo dell’immagine e della moda) sia parte integrante del personaggio e pertanto i costi sostenuti siano da considerarsi inerenti all’attività svolta. Inquadramento previdenziale: la sentenza del Tribunale di Roma Negli aspetti previdenziali possiamo ravvisare le più interessanti novità, infatti le figure di influencer e brand amabassador erano state “storicamente” ricondotte alla gestione previdenziale autonoma del commercio o, in assenza dell’attività propria commerciale, alla gestione separata autonomi. Il Tribunale di Roma però, con la sentenza n. 2615/2024, ha dato ragione alla Fondazione Enasarco (ente previdenziale e assistenziale degli agenti di commercio) ritenendo che il soggetto influencer dovesse essere iscritto alla stessa fondazione per le concrete modalità con le quali veniva gestita, e soprattutto retribuita, la prestazione. Il Giudice ha ritenuto che nel caso analizzato la figura dell’influencer dovesse essere assimilata a quella di un agente di commercio, non ritrovando nel nostro ordinamento una puntuale disciplina normativa alternativa. Nel caso concreto l’influencer, attraverso le piattaforme social, proponeva ai propri followers sconti sull’acquisto di determinati prodotti dell’azienda mediante l’utilizzo di un codice personalizzato oppure attraverso un link di collegamento all’e-commerce dell’azienda; l’attività è risultata stabile e continuativa e differente dall’attività che il giudice definisce di testimonial (o brand ambassador). Con ragionamento logico possiamo effettivamente ritrovare una corrispondenza con l’agente di commercio che influenza il consumatore per fargli acquistare i prodotti dell’azienda rappresentata. Qualora, come nel caso oggetto della sentenza, si possa ravvisare l’attività da agente di commercio le conseguenze dal punto di vista aziendale impattano non solo sul piano previdenziale. Infatti, se dal punto di vista di inquadramento previdenziale si configurerebbe l’obbligo di iscrizione e versamento dei contributi all’Enasarco, la definizione come agente di commercio porterebbe ad una serie di tutele minime ed alla necessità di conformarsi agli accordi economici collettivi per aspetti quali ad esempio la remunerazione delle provvigioni, la non concorrenza, indennità aggiuntive e di fine rapporto, preavviso e altre tutele a favore dell’agente. Possiamo affermare che l’inquadramento dell’influencer, sino ad ora abbastanza sottovalutato, potrebbe ripercorrere le orme dei lavoratori delle piattaforme (platform worker) che cercano una propria identità all’interno del panorama nazionale ed europeo, in equilibrio tra autonomia e tutele.