Con una tendenza ormai diffusa, nel nostro ordinamento tributario la platea delle imposte sostitutive continua ad ampliarsi, una propensione recentemente confermata con la legge di Bilancio 2019 che, ai commi 17-22 dell’art. 1, ha previsto la ben nota flat tax del 15% sui redditi di impresa e di lavoro autonomo in regime forfettario, la cui applicazione è ora sottoposta alla condizione che i ricavi o compensi annui non siano superiori a 65.000 euro. A far data dal 2020, invece, è stata già prevista anche l’introduzione di una tassa piatta del 20% per tutti coloro che assesteranno tra 65.001 e 100.000 euro il loro livello di operazioni attive del periodo precedente. Alla luce di ciò, salvo casi particolari, rimanere all’interno delle predette soglie farà realizzare un risparmio d’imposta anche notevole e, quindi, sono i diffusi i timori di chi ritiene che in molti faranno “di tutto” per non superare l’uscio che implicherebbe il venir meno del regime agevolato stesso, mentre la stessa esistenza dei predetti due “scalini” (65.000 e 100.000 euro) potrebbe indurre coloro che fossero in procinto di superarli ad effettuare pratiche evasive od elusive della corretta rappresentazione e certificazioni dei loro ricavi/compensi attivi. In sostanza, chi effettivamente incassasse oltre 65mila euro l’anno non avrebbe alcuna convenienza a sconfinare rispetto allo “scalino”, perché si vedrebbe costretto a pagare diverse migliaia di euro di imposte in più e lo stesso accadrebbe, dal 2020, con l’aliquota flat al 20% per quegli imprenditori individuali e professionisti che, nell’anno precedente a quello di accesso, conseguissero ricavi o percepito compensi che sarà conveniente mantenere in un intervallo compreso tra 65.001 e 100.000 euro. Anche per ridurre questo rischio è stato allora presentato dal Governo un disegno di legge che ha un obiettivo chiaro ed ambizioso: a partire dal 2019, laddove un contribuente dichiarasse almeno il 10% in più rispetto all’anno precedente, sul maggior reddito si potrà applicare un’imposta sostitutiva denominata “IrpefIresPlus” del 15% (Atto Camera n. 1501, proposta di legge Gusmeroli ed altri: “Istituzione di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e delle relative addizionali per gli incrementi di reddito realizzati rispetto all’anno precedente”). Al di là della infelice denominazione adoperata dal legislatore, che più che ad un nuovo tributo si addice ad un farmaco multivitaminico, l’idea è interessante e potrebbe, in effetti, funzionare non solo come efficace rimedio per limitare i casi di occultamento intenzionale di ricavi di chi intendesse rimanere nei regimi agevolati in maniera surrettizia, ma, più in generale, anche per ampliare la base imponibile dichiarata dall’intera platea dei contribuenti, nella consapevolezza che l’evasione fiscale è molto diffusa nel nostro Paese soprattutto per l’insopportabile livello delle aliquote ordinarie vigenti e si ha, quindi, ragione di ritenere che permettendo di applicare, almeno entro certi limiti quantitativi, questa nuova flat tax, i contribuenti potrebbero convincersi a dichiarare imponibili sempre più reali. Da un lato, quindi, la proposta di legge in argomento avrebbe il pregio di minimizzare il problema della soglia a “scalino” del regime a forfait e di disincentivare la tentazione di far rimanere nel sommerso una parte del proprio fatturato, dall’altro lato, invece, l’introduzione di questa ulteriore imposta sostitutiva dell’IRPEF, IRES e addizionale regionale e comunale, costituirebbe un anticipo della promessa flat tax “a regime” del 15% che, dal 2020, inizierebbe a ridurre il carico fiscale almeno sul “reddito incrementale”. Ulteriore aspetto interessante della novella normativa è anche il fatto che nei confronti del contribuente che dichiarasse l’ampliamento della base imponibile, ancorché nei limiti che il progetto di legge individuerà, non potrebbero più essere esperiti accertamenti di tipo analitico, fatte salve le ipotesi di contestazione fiscale derivante da infrazioni di rilevanza penale-tributaria contenute nel D.Lgs. 74/2000 (quali, ad esempio, emissioni od utilizzo di fatture per operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti). Nello specifico, se per due anni successivi all’anno base l’imponibile del contribuente “virtuoso” superasse il reddito dichiarato dell’anno X di una percentuale ora ipotizzata nel 10%, il reddito dichiarato si considererebbe “congruo” per limitare le attività di controllo fiscale, con un meccanismo di inibizione delle istruttorie accertatrici analogo a quanto accadde ad inizio secolo con l’istituto del “concordato preventivo biennale” (art. 33 del DL 269/2003, convertito dalla Legge 326/2003). Appare, peraltro, interessante segnalare che sul reddito del contribuente soggetto ad “IrpefIresPlus” non saranno dovuti neppure i contributi previdenziali e assistenziali, a meno che il contribuente non decida comunque di versarli volontariamente per alimentare la costruzione del proprio montante previdenziale. La nuova imposta sostitutiva, almeno nelle intenzioni del disegno di legge, si dovrebbe applicare dal 1° gennaio 2020, dovrebbe avere una durata temporale di tre anni e riguarderebbe tutti i contribuenti titolari di partita Iva o società.