L’Italia tra i Paesi con il più basso gap salariale di genere

Uno stipendio medio orario inferiore del 5% quello percepito dalle lavoratrici italiane rispetto ai colleghi uomini. Il dato Eurostat relativo al 2021 è molto chiaro: l’Italia è uno dei Paesi con il più basso Gender Pay Gap, l’indicatore calcolato sulla base dell’indagine quadriennale Structure of Earnings Survey (SES) e prodotto ogni anno dai Paesi membri dell’Unione europea per misurare il differenziale retributivo tra uomini e donne. Il GPG è calcolato come la differenza percentuale delle retribuzioni orarie di uomini e donne in rapporto a quelle degli uomini ed è un indicatore sensibile agli effetti di composizione (settore di attività economica, dimensione di impresa, professione, livello di istruzione, età, anzianità aziendale etc.). La nota metodologica dell’Ufficio Studi Consulenti del Lavoro “Cosa è e come si misura il Gender Pay Gap”, elaborata su dati Istat ed Eurostat, ha l’obiettivo di chiarire il concetto di Gender Pay Gap, il suo ambito definitorio e la metodologia di misurazione.

Cosa misura il Gender Pay Gap

Il Gender Pay Gap (GPG) è l’indicatore prodotto annualmente dai paesi membri dell’Ue in base a quanto previsto da un Gentlemen Agreement, per misurare il differenziale retributivo tra uomini e donne. L’indicatore è calcolato sulla base dell’indagine Structure of Earnings Survey (SES), che viene svolta ogni quattro anni, e aggiornato sfruttando informazioni annuali.

Il GPG (Gender Pay Gap) è calcolato come la differenza percentuale delle retribuzioni orarie di uomini e donne in rapporto a quelle degli uomini ed è un indicatore sensibile agli effetti di composizione (settore di attività economica, dimensione di impresa, professione, livello di istruzione, età, anzianità aziendale etc.). Per questo motivo, Eurostat sta sperimentando il calcolo di un Adjusted GPG che cerca di depurare l’indicatore dagli effetti di composizione in modo da renderlo più adatto a misurare i differenziali retributivi a parità di caratteristiche della unità economica, del lavoratore e della posizione lavorativa. Ad ogni modo, i risultati cui pervengono Istat ed Eurostat (con l’adjusted GPG) non sono diversi.

La fonte dei dati che Istat utilizza è la Rilevazione sulla Struttura delle retribuzioni e del costo del lavoro (RCL-SES). Come previsto dalle norme comunitarie, la rilevazione riguarda i lavoratori dipendenti, retribuiti nell’intero mese di riferimento dell’indagine, nelle imprese e Istituzioni pubbliche con almeno 10 dipendenti. Questo rappresenta un limite evidente, dal momento che l’occupazione nelle imprese con meno di 10 addetti costituisce una quota rilevante dell’occupazione complessiva in Italia.

Confronto con il resto d’Europa

Secondo Eurostat l’Italia è uno dei Paesi con il più basso GPG. Nel 2021, la retribuzione media oraria delle donne in Italia è del 5% inferiore rispetto a quella di un uomo. In Europa, il differenziale arriva al 13,5% e Paesi come la Francia e la Germania (che hanno livelli salariali mediamente più elevati) presentano differenziali retributivi molto più elevati. Sembrerebbe che laddove ci sia una dinamica salariale più spinta, le differenze di genere nei livelli retributivi tendano ad aumentare.

L’ultima pubblicazione dell’Istat sulla struttura delle retribuzioni In Italia (2021), individua con riferimento al 2018, un differenziale retributivo del 6,2% come risultato della retribuzione oraria media di 16,2 euro per gli uomini e di 15,2 euro per le donne. Tale differenziale tende ad aumentare tra i laureati (18%), con una retribuzione media oraria di 19,6 euro per le donne e di 23,9 euro per gli uomini, ma anche tra i dipendenti con un’istruzione primaria (15%), sebbene su livelli retributivi orari decisamente più bassi (10,8 euro le donne e 12,7 euro per gli uomini).

Il gap salariale è più alto tra le professioni in cui vi è una minore presenza femminile. Nel dettaglio, il gruppo dei Dirigenti mostra un valore del GPG pari al 27,3%, in corrispondenza delle retribuzioni orarie più alte, sia per le donne (33,6 euro) che per gli uomini (46,2 euro). Segue il gruppo degli Artigiani e operai specializzati (18,5%), per i quali le retribuzioni orarie sono pari a 10,1 euro per le donne e 12,4 euro per gli uomini, e quello delle Forze Armate (18,8%), con valori della retribuzione oraria pari a 15,5 euro e 19,1 euro rispettivamente.
Il gruppo delle Professioni intellettuali e scientifiche, infine, si caratterizza per elevati livelli retribuitivi (secondi solo a quelli dei dirigenti, attestandosi a 22,9 euro tra le donne e a 25,6 euro tra gli uomini) e un basso livello del GPG (10,5%), ma anche per una massiccia presenza di lavoratrici donne.

Un altro dei fattori che sembra concorrere fortemente a determinare il differenziale salariale di genere è l’effetto di composizione tra il comparto a controllo pubblico (l’insieme delle istituzioni pubbliche e delle imprese a prevalente controllo pubblico) e quello a controllo privato (l’insieme delle imprese sulle quali il controllo privato è totale o prevalente).
Se infatti il GPG nel comparto a controllo privato è pari al 17,7%, nel comparto a controllo pubblico scende al 2%. In quest’ultimo le donne sono la maggioranza (55,4% degli occupati), e si registra anche la maggiore concentrazione di donne con elevato livello di istruzione e con più alta retribuzione oraria: le laureate hanno una retribuzione oraria di 22,6 euro, di ben 7,5 euro superiore a quella delle laureate nel comparto privato; tra gli uomini la differenza si riduce a 4 punti, passando dai 26,1 euro nel pubblico ai 22,1 euro nel privato.

Differenze reddituali uomo-donna

Spesso per parlare di Gender Pay Gap si utilizzano le differenze di retribuzione annua tra uomini e donne. Tale misurazione risente in misura molto maggiore degli impatti che sui livelli retributivi hanno la discontinuità dei percorsi di carriera, la temporaneità dei contratti, la diffusione del part time, l’investimento e le opportunità di carriera, gli effetti della contrattazione individuale, etc etc.

Nel 2018, le lavoratrici dipendenti hanno guadagnato circa 6.500 euro in meno dei lavoratori (31.335 euro contro 37.912), anche per effetto del più basso numero di ore retribuite: in media, 1.552 ore per le donne e 1.840 per gli uomini. La maggiore diffusione tra le donne dei contratti part time contribuisce a spiegare tale differenza. Ma pesano anche altri fattori, legati alla stabilità della condizione lavorativa, alla continuità, la struttura dell’occupazione maschile e femminile.

Da questo punto di vista, un recente contributo fornito dall’Istat in occasione dell’Audizione sulla proposta di introduzione di un salario minimo legale ha evidenziato come il 27,8% delle donne occupate nel nostro Paese presenti almeno un elemento di “vulnerabilità lavorativa”, riconducibile alla sussistenza di un contratto a termine o collaborazione (autonomo senza dipendente), o presenza di part time involontario, o entrambe le condizioni. Tra gli uomini, la quota di lavoratori vulnerabili è del 16,2%.

Tale condizione risulta particolarmente diffusa tra le giovanissime (45,7%), tra le straniere (40,7%) e tra le residenti al Sud (36,2%). Tale aspetto si riverbera direttamente su quello reddituale.

Direttiva europea sul Gender Pay Gap

Il divario retributivo ha ripercussioni a lungo termine sulla qualità della vita delle donne, sul loro rischio di esposizione alla povertà e sulla persistenza del divario pensionistico, che è pari a circa il 30% nell’UE (su dati Eurostat del 2018).

La pandemia di COVID-19 e le sue ricadute economiche e sociali hanno reso ancora più urgente affrontare la questione, mettendo ulteriormente in luce le sfide connesse alla partecipazione del genere femminile al mercato del lavoro, in quanto le donne si sono assunte la maggior parte delle responsabilità di assistenza durante questo periodo.

Il Consiglio d’Europa ha adottato a marzo 2023 la direttiva sulla trasparenza salariale (Direttiva UE n.2023/970), per garantire che nell’Unione Europea donne e uomini ricevano la stessa retribuzione per uno stesso lavoro.

Nella Direttiva il Consiglio ha previsto che i datori di lavoro con almeno 250 dipendenti rendano pubbliche all’interno della loro organizzazione le informazioni sul divario retributivo tra donne e uomini. Se dal monitoraggio dovesse risultare un gender pay gap di oltre il 5% senza cause oggettivamente neutre dal punto di vista del genere, i datori di lavoro dovranno rivalutare le retribuzioni.

La direttiva contiene, inoltre, disposizioni in materia di risarcimento per le vittime di discriminazione retributiva, come pure sanzioni che comprendono ammende per i datori di lavoro che non rispettino le norme.

In base alle nuove norme, i datori di lavoro avranno l’obbligo di fornire alle persone in cerca di lavoro informazioni sulla retribuzione iniziale o sulla fascia retributiva dei posti vacanti, riportandole nel relativo avviso di selezione del personale o comunicandole prima del colloquio di lavoro ai candidati. Ai datori di lavoro sarà inoltre fatto divieto di chiedere alle persone che scelgono di partecipare alla selezione informazioni sulle retribuzioni percepite negli attuali o nei precedenti rapporti di lavoro.

Una volta assunti, i lavoratori e le lavoratrici avranno il diritto di chiedere ai propri datori di lavoro informazioni sui livelli retributivi medi, ripartiti per sesso, delle categorie di lavoratori che svolgono lo stesso lavoro o un lavoro di pari valore. Avranno, inoltre, accesso ai criteri utilizzati per determinare la progressione retributiva e di carriera, che devono essere oggettivi e neutri anche sotto il profilo del genere.

Le imprese con più di 250 dipendenti saranno tenute a comunicare annualmente (triennalmente per le imprese più piccole) all’autorità nazionale competente lo stato dell’arte del divario retributivo di genere all’interno della propria organizzazione. Se dalla relazione dovesse emergere un divario retributivo superiore al 5% non giustificabile, le imprese saranno tenute ad agire svolgendo una valutazione congiunta delle retribuzioni in collaborazione con i rappresentanti dei lavoratori.

Ai sensi della nuova direttiva, i lavoratori e le lavoratrici che hanno subito una discriminazione retributiva basata sul genere possono ottenere un risarcimento, compreso il recupero integrale delle retribuzioni arretrate e dei relativi bonus.