La Corte di Giustizia dell’UE ha deciso con sentenza del 22 febbraio 2024 la causa C-674/22 riguardante l’obbligo di rimborsare l’imposta sul valore aggiunto (IVA) e di pagare interessi. Il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che obbliga a versare ad un soggetto passivo interessi a decorrere dal pagamento di un importo IVA, che è successivamente rimborsato dall’amministrazione tributaria, qualora tale rimborso sia dovuto, in parte, all’accertamento che tale soggetto passivo, a seguito di errori commessi nella sua contabilità, non ha pienamente esercitato il suo diritto alla detrazione dell’IVA pagata a monte per gli anni considerati e, in parte, ad una modifica, con effetto retroattivo, delle modalità di calcolo dell’IVA detraibile relativa alle spese generali di detto soggetto passivo. La Corte ha ricordato che qualora uno Stato membro abbia prelevato tributi in violazione delle disposizioni del diritto dell’Unione, i singoli hanno diritto al rimborso non solo del tributo indebitamente riscosso, ma altresì degli importi pagati a questo Stato o da esso trattenuti in rapporto diretto con tale tributo. Ciò include anche le perdite costituite dall’indisponibilità di somme di denaro a seguito del pagamento anticipato delle imposte. In una situazione di restituzione di un tributo riscosso da uno Stato membro in violazione del diritto dell’Unione, il principio di effettività esige che le norme nazionali relative, in particolare, al calcolo degli interessi eventualmente dovuti non finiscano per privare il soggetto passivo di un risarcimento adeguato per la perdita derivante dal pagamento indebito del tribute. Tale perdita dipende, in particolare, dalla durata dell’indisponibilità della somma indebitamente versata in violazione del diritto dell’Unione e si verifica quindi, in linea di principio, nel periodo intercorrente tra la data dell’indebito versamento del tributo in questione e la data della sua restituzione. Di conseguenza, al fine di determinare se il diritto dell’Unione imponga il versamento degli interessi a un soggetto passivo a partire dal momento del pagamento di un importo IVA successivamente rimborsato, occorre verificare se tale importo debba essere considerato come «riscosso in violazione del diritto dell’Unione». Un importo IVA rimborsato a causa della modifica, con effetto retroattivo, delle modalità di calcolo dell’IVA detraibile relativa alle spese generali di un soggetto passivo può essere considerato riscosso in violazione del diritto dell’Unione solo se le modalità iniziali di tale calcolo, che hanno giustificato la riscossione di tale importo, sono incompatibili con il diritto dell’Unione a causa della normativa nazionale applicabile o di un requisito dell’amministrazione tributaria. Ciò posto, e affinché i soggetti passivi possano effettuare i calcoli necessari, spetta agli Stati membri stabilire metodi e criteri appropriati a tale scopo, nel rispetto dei principi sottesi al sistema comune dell’IVA. Per tali ragioni la Corte ha dichiarato che il diritto dell’Unione deve essere interpretato nel senso che esso non obbliga a versare a un soggetto passivo interessi a decorrere dal pagamento di un importo di imposta sul valore aggiunto (IVA), che è successivamente rimborsato dall’amministrazione tributaria, qualora tale rimborso sia riconducibile, in parte, all’accertamento che tale soggetto passivo, a seguito di errori commessi nella sua contabilità, non ha pienamente esercitato il suo diritto alla detrazione dell’IVA versata a monte per gli anni considerati e, in parte, ad una modifica, con effetto retroattivo, delle modalità di calcolo dell’IVA detraibile relativa alle spese generali di detto soggetto passivo quando tali modalità sono stabilite sotto la sola responsabilità di quest’ultimo.