Il datore di lavoro privato, qualora intenda richiedere (sia in fase selettiva che all’atto della sottoscrizione del contratto di lavoro) la presentazione del certificato penale da parte dei lavoratori adibiti a specifiche attività aziendali e per l’espletamento di mansioni delicate o di specifiche responsabilità, deve verificare se le disposizioni di legge consentono, o meno, tale possibilità. La necessità di conoscere se il soggetto da impiegare sia o meno incorso in condanne che potrebbero essere di ostacolo allo svolgimento delle mansioni da assegnare si contrappone, infatti, in primo luogo alle disposizioni in materia di privacy, e successivamente a disposizioni specifiche. Norme sulla privacy Primo tra altri, occorre oggi riportarsi all’art. 10 del Regolamento (UE) 2016/679 – GDPR, in vigore dal 25 maggio 2018 e ripreso nel Codice privacy italiano (D.Lgs. 196/2003 come novellato dal D.Lgs. 101/2018), che prescrive espressamente che “Il trattamento dei dati personali relativi alle condanne penali e ai reati o a connesse misure di sicurezza ... deve avvenire soltanto sotto il controllo dell'autorità pubblica o se il trattamento è autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri che preveda garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati”. Ancor prima “l'autorizzazione del Garante n. 7/2016 al trattamento dei dati giudiziari da parte di privati” autorizzava il trattamento dei dati giudiziari, qualora questo fosse “indispensabile per […] adempiere o esigere l'adempimento di specifici obblighi o eseguire specifici compiti previsti da leggi, dalla normativa dell’Unione europea, da regolamenti o da contratti collettivi, anche aziendali, e ai soli fini della gestione del rapporto di lavoro”. Si ricorda che tale autorizzazione non è stata inserita tra quelle compatibili con il Regolamento (UE) e soggette a consultazione pubblica (provvedimento n. 497 del 13 dicembre 2018). Cosa dice lo Statuto dei lavoratori Altra disposizione da attenzionare è riposta nell’art. 8 dello Statuto dei Lavoratori per il quale è vietato al datore di lavoro, sia ai fini dell'assunzione, che nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, effettuare indagini che non attengono alla “valutazione dell'attitudine professionale del lavoratore.”. Norma, quest’ultima, espressamente ripresa dall’art. 113 del codice privacy. Novità dal 27 ottobre 2019 Per una completa visione normativa occorre anche considerare la disciplina delle “disposizioni legislative e regolamentari in materia di casellario giudiziale” di cui al DPR 313/2002, come novellato dal DPR 122/2018 (pubblicato nel S.O. della GURI del 26.10.2018) con efficacia dal prossimo 27 ottobre. L’ex-DPR 313/02 prevede la sola possibilità, per il datore di lavoro, di richiedere il “certificato penale del casellario giudiziale” (che diviene, appunto dal 27.10 “certificato del casellario giudiziale”) per le assunzioni di soggetti da impiegare in “attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori”, limitatamente alle condanne di prostituzione o pornografia minorile, detenzione di materiale pornografico e adescamento di minorenni (artt. 600-bis, 600-ter, 600-quater, 600-quinquies e 609-undecies del codice penale). Per queste attività è comunque prevista la richiesta solamente all’atto dell’assunzione. Ciò in forza dell’art. 25-bis del D.P.R. 313/2002 rubricato “Certificato penale del casellario giudiziale richiesto dal datore di lavoro” introdotto dal D. Lgs. 39/14 e che resta immutato anche dopo il 27 ottobre 2019. In ogni caso non è possibile richiedere il certificato dei carichi pendenti (Cass. 19012/2018) attesa l’assenza di “interesse dell'azienda a conoscere la storia personale della persona che si accingeva ad assumere stante, peraltro, la presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27 Cost.”. Ruolo della contrattazione collettiva Sia per effetto delle modifiche al c.p.p. che delle regole di cui al regolamento sulla privacy, viene meno – così come qualificata dottrina consentiva – la possibilità derogatoria affidata alla contrattazione collettiva. Un esempio: il rinnovo del CCNL Cemento aziende industriali del 29 maggio 2019 ha visto all’art. 22 cadere la “facoltà dell’Azienda di richiedere il certificato penale di data non anteriore a tre mesi”. Prima ancora anche il CCNL Metalmeccanica ha subito tale intervento. Casi particolari Da ultimo si rileva come il Garante della Privacy rispondendo ad apposito richiesta volta ad ottenere la prevista autorizzazione per il trattamento dei dati giudiziari (acquisizione del “certificato penale del casellario giudiziale”) non abbia autorizzato (provvedimento n. 315 del 22 maggio 2018) tale acquisizione in assenza di “un’idonea base giuridica (legislativa o regolamentare)”, non ritenendo tale un’eventuale previsione contrattuale, per lo “svolgimento di servizi di pulizia, di portierato e custodia, facchinaggio, servizi di manutenzione anche presso soggetti pubblici (quali, a titolo esemplificativo, tribunali, caserme, ospedali, strutture portuali)”. Dal citato provvedimento del Garante emerge che alla data risulta(va)no autorizzati, per la presenza di apposita previsione legislativa e regolamentare, oltre l’attività che comporti contatti diretti e regolari con minori di cui sopra le “funzioni di amministrazione, di direzione e di controllo presso le imprese di assicurazione e di riassicurazione” (art. 76, D. Lgs. 7 settembre 2005, n. 209 e smi e D.M. 11 novembre 2011, n. 220) e per i dipendenti del titolare di un’autorizzazione generale nel settore postale (D.M. 29 luglio 2015, art. 2, comma 4). In dipendenza, solo i datori di lavoro privati che svolgono queste attività, ed impiegano i lavoratori con le citate mansioni, sono legittimati alla richiesta del “certificato penale del casellario giudiziale” (dal 27 ottobre, “certificato del casellario giudiziale”). Diversamente da quanto avviene per l’assunzione di un dipendente pubblico laddove, per previsione normativa, questi è chiamato, per il suo ruolo e funzioni, ad attestare “l’inesistenza di condanne penali che impediscano l'instaurazione di un rapporto di pubblico impiego”. Non è prevista la produzione del “certificato penale del casellario giudiziale” nell’ambito dei reati di corruzione tra privati (art. 2635 bis c.c. come riformulato dal D.Lgs. 38/2017) anche per i suoi riflessi in materia di responsabilità amministrativa ex-D.Lgs. 231/2001. Così non si intravede tale possibilità neanche nel disegno di legge (in atto al Senato della Repubblica – AS n. 897 contenente “Misure per prevenire e contrastare condotte di maltrattamento o di abuso, anche di natura psicologica, [...] nei servizi educativi per l'infanzia e nelle scuole dell'infanzia e delle persone ospitate nelle strutture socio-sanitarie e socio-assistenziali per anziani e persone con disabilità ...”), salvo naturalmente che per gli operatori impiegati in “attività professionali o attività volontarie organizzate che comportino contatti diretti e regolari con minori” (ex-D.Lgs. 39/14).