La giurisprudenza dà sempre più spazio al licenziamento ritorsivo

Dopo la riforma della disciplina dei licenziamenti, operata prima con la L. 92/2012 che ha modificato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori e poi con il DLgs. 23/2015 che ha introdotto il contratto a tutele crescenti, il tema della natura ritorsiva del licenziamento viene portato all’attenzione dei giudici sempre più di frequente, in quanto resta una delle poche ipotesi in cui al lavoratore viene riconosciuta una tutela reintegratoria piena, con la quale al ripristino del rapporto si accompagna il diritto al pagamento di tutte le retribuzioni perse, come era nell’originario regime dell’art. 18 della L. 300/70. La maggiore attenzione al licenziamento ritorsivo rischia, però, di portare i giudici a travalicare i confini della fattispecie, come sembra sia avvenuto con la sentenza n. 31395 del 2 dicembre 2019, che ha attribuito natura ritorsiva ad un licenziamento che appariva semplicemente ingiustificato. IL FATTO Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte era piuttosto semplice e anche frequente, in quanto si trattava di un lavoratore, delegato sindacale, che era stato licenziato per le dichiarazioni rese ad un quotidiano nazionale in merito alla gestione di un appalto di raccolta dei rifiuti urbani in un Comune ligure, dichiarazioni che l’impresa aveva ritenuto denigratorie ed offensive. In particolare, rilasciando un’intervista al giornale, il lavoratore aveva dichiarato che presso tale Comune la raccolta dei rifiuti “porta a porta” era difficile, che gli addetti al servizio prestavano la loro attività in condizioni gravose, dovendo svolgere anche lavoro straordinario, e che tale situazione si era aggravata dopo il trasferimento di uno degli addetti presso un altro Comune. In sede di merito era stata accertata la veridicità delle circostanze affermate nell’intervista, salvo che per l’aspetto marginale relativo alla richiesta di lavoro straordinario, e che i toni utilizzati erano stati corretti. Sulla base di tali circostanze la Corte d’Appello di Genova, riformando la precedente sentenza del Tribunale di Imperia, aveva ritenuto nullo perché ritorsivo il licenziamento del delegato sindacale, condannando l’impresa a reintegrarlo in servizio ed a pagargli a titolo di risarcimento del danno le retribuzioni nel frattempo perse. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La sentenza, impugnata dall’impresa sia sotto il profilo di legittimità del licenziamento sia della sua natura ritorsiva, è stata integralmente confermata dalla Cassazione. La decisione è sicuramente corretta nella parte in cui ha riconosciuto l’illegittimità del licenziamento, richiamando consolidati principi in tema di esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore, in particolare quando esercita funzioni di rappresentante sindacale. L’esercizio del diritto di critica è legittimo e non può essere considerato comportamento idoneo a far venire meno il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro, legittimando un licenziamento per giusta causa, quando siano rispettati i limiti di continenza. Cioè quando corrispondano a verità i fatti narrati (c.d. continenza sostanziale) e le modalità espressive rispettino i canoni di correttezza, misura e civile rispetto della dignità altrui (c.d. continenza formale). Questo a maggior ragione se il lavoratore esprime la sua critica nell’esercizio delle sue funzioni di rappresentante sindacale, perché in questo caso viene perseguito un interesse collettivo e l’esercizio del diritto di critica è tutelato sul piano costituzionale anche dalle norme sulla libertà di attività sindacale e non solo come manifestazione della libertà di pensiero. Raggiunte queste pacifiche conclusioni sull’illegittimità del licenziamento, la Cassazione avrebbe dovuto ricondurre la fattispecie all’ipotesi di “insussistenza del fatto contestato” di cui all’art. 18 comma 4 della L. 300/70, cui si applica la tutela reintegratoria c.d. attenuata, che secondo un principio oramai consolidato comprende sia l’ipotesi del fatto materiale che si riveli insussistente sia quella del fatto che, pur esistente, non presenti profili di illiceità (cfr. tra le tante Cass. n. 29062/2017). Invece, la Corte ha confermato la decisione del giudice d’appello genovese, secondo cui il licenziamento doveva considerarsi ritorsivo in quanto l’unico motivo che lo aveva giustificato, ossia il rilascio alla stampa di dichiarazioni ritenute gravissime e lesive, si era rilevato insussistente. Una decisione che sembra ingiustamente confondere e sovrapporre il piano dell’insussistenza del fatto contestato con la natura ritorsiva del licenziamento, perché altrimenti in tutti i casi in cui il fatto contestato è lecito saremmo in presenza di una ritorsione. Una sovrapposizione che non è priva di conseguenze sul piano sanzionatorio, dal momento che in caso di insussistenza del fatto alla reintegrazione può accompagnarsi un indennizzo per le retribuzioni perse nel limite massimo di dodici mensilità, mentre tale limite non si applica nelle ipotesi di nullità previste dal comma 1 dell’art. 18 della L. 300/70, secondo una disciplina che distingue tra tutela reintegratoria piena e tutela reintegratoria attenuata e che è stata ripresa anche nel contratto a tutele crescenti.

Concordato preventivo biennale: in un video le istruzioni per l’uso

Decreto salva casa: nuovi requisiti di abitabilità

Concordato preventivo forfetari: aggiornato il software

Via libera al Decreto Agricoltura: le misure approvate

Decreto Salva Casa: le novità in arrivo

Influencer inquadrabile come agente di commercio

Carta Dedicata a te: destinatari, requisiti e misura

Decreto Coesione in Gazzetta Ufficiale, le novità in arrivo

Disabili: come cambia la legge 104 dal 30 giugno

La giurisprudenza dà sempre più spazio al licenziamento ritorsivo

Licenziamento illegittimo e reintegro se fondato sulla mera affermazione della potenziale lesività per l'azienda delle critiche che il sindacalista rilascia alla stampa

Lascia un commento Annulla risposta

Newsletter

Articoli correlati

Lascia un commento Annulla risposta