Nell’ambito dell’accertamento delle imposte sui redditi, la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2408 del 29 gennaio 2019 ha statuito che l’autorizzazione dell’Autorità giudiziaria, richiesta dal comma 3 dell’articolo 33 del Dpr 600/1973 ai fini della trasmissione all’Agenzia delle Entrate di documentazione, dati e notizie acquisite dalla Gdf nell’ambito di un procedimento penale, è posta a tutela della riservatezza delle indagini penali e non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o dei terzi e, pertanto, la mancata produzione o riproduzione testuale della suddetta autorizzazione, della quale si riportano gli estremi, non determina in alcun modo la nullità dell’accertamento anche nel caso in cui l’attività di polizia giudiziaria riguardi soggetti differenti dal contribuente. La Gdf agisce sia in qualità di polizia tributaria che di polizia giudiziaria, svolgendo attività investigative per conto di un organo giudiziario. Il comma 3 dell’articolo 33 prevede espressamente che le fiamme gialle possano utilizzare e trasmettere agli uffici finanziari, ai fini dell’accertamento della maggiore imposta dovuta, documenti, dati e notizie acquisiti nell’esercizio dei poteri di polizia giudiziaria, solamente previa autorizzazione dell’autorità competente. Il comma 3 dell’articolo 33 richiede, pertanto, la presenza dell’autorizzazione, sebbene la giurisprudenza e la dottrina siano orientate a riconoscere il trasferimento delle risultanze penali, nel procedimento tributario, anche in carenza dell’autorizzazione indicata dalla normativa, essendo tale atto posto esclusivamente a tutela delle indagini penali e del segreto istruttorio e non dei soggetti coinvolti nel procedimento medesimo o di terzi. Non è altresì necessaria nemmeno l’allegazione dell’autorizzazione all’atto impositivo, essendo essa finalizzata solo a consentire la trasmissione, anche agli uffici finanziari, del materiale acquisito per scopi meramente penali. Ne consegue che la mancanza dell’autorizzazione non rileva ai fini dell’efficacia probatoria dei dati trasmessi, né implica l’invalidità o la nullità dell’atto impositivo adottato sulla scorta degli stessi. La Corte di Cassazione (sentenza 2352/2013) sul tema ha precisato che la Gdf cooperando «con gli uffici delle imposte sul valore aggiunto per l’acquisizione ed il reperimento degli elementi utili ai fini dell’accertamento dell’imposta e per la repressione delle violazioni», persegue l’interesse pubblico al corretto funzionamento del sistema tributario, finalità connessa a quella per il perseguimento dei reati tributari. Il comma 3 dell’articolo 33 riconosce pertanto, all’autorità giudiziaria penale il potere, comunque a essa spettante ex articolo 329 del Codice di procedura penale., di derogare al segreto istruttorio in conseguenza dell’interesse a un sollecito e corretto accertamento tributario. Ne deriva che la trasmissione non autorizzata di atti coperti dal segreto istruttorio rileva, pertanto, solo nell’ambito del giudizio penale mentre l’interesse della parte privata a svolgere compiutamente le proprie difese nel giudizio tributario, viene garantita dalla conoscenza o conoscibilità degli atti trasmessi (Cassazione sentenza 22176/2008). È dunque possibile ritenere che la mancanza di autorizzazione non infici l’atto di accertamento motivato sulla base degli elementi acquisiti in ambito penale, dal momento che il ruolo dell’autorizzazione è solo quello di tutelare l’indagato, in sede penale, al mantenimento del segreto istruttorio. La tutela delle indagini penali e del segreto istruttorio non può spingersi fino a costituire ostacolo o intralcio all’attuazione di esigenze costituzionali primarie, come l’accertamento dei tributi, costituenti ipotesi di particolare gravità in quanto rappresentano violazione di un dovere inderogabile di solidarietà.