Doppio chiarimento della Corte di Cassazione in materia di lavoro. Secondo la Corte (ordinanza n. 32522 del 23 novembre 2023) in materia di trasferimento d’azienda solo se l’operazione è giuridicamente legittima il rapporto di lavoro per il lavoratore ceduto ha continuità e, quindi, resta il medesimo. In seconda battuta è stato chiarito che la corresponsione della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro. In particolare, la Suprema Corte ha in più occasioni chiarito che il conseguimento della pensione di anzianità non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell'incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale, determinando la sospensione dell'erogazione della prestazione pensionistica, ma non comporta l'invalidità del rapporto di lavoro; né il risarcimento del danno spettante ex art. 18, st.lav. può essere diminuito degli importi che il lavoratore abbia ricevuto a titolo di pensione, in quanto può considerarsi compensativo del danno arrecatogli dal licenziamento (quale "aliunde perceptum") non qualsiasi reddito percepito, bensì solo quello conseguito attraverso l'impiego della medesima capacità lavorativa (in tal senso Cass. n. 16136/2018). Come la Suprema Corte ha avuto modo di precisare, soltanto un legittimo trasferimento d'azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro che resti unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi; tale circostanza ricorre esclusivamente quando sussistono i presupposti di cui all'art. 2112 cod. civ. che, in deroga all'art. 1406 cod. civ., consente la sostituzione del contraente senza consenso del ceduto; da ciò consegue l'unicità del rapporto lavorativo. In caso contrario, ovvero in caso di illegittimità della cessione, le retribuzioni in seguito corrisposte dal destinatario della cessione, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente alla messa a disposizione di questi delle energie lavorative in favore dell'alienante, non producono un effetto estintivo, in tutto o in parte, dell'obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa (Cass. n. 29092/2019); il rapporto col cessionario è instaurato in via di mero fatto, tanto che le vicende risolutive dello stesso non sono idonee ad incidere sul rapporto giuridico ancora in essere con il cedente, sebbene quiescente per l'illegittima cessione fino alla declaratoria giudiziale. Con riguardo poi al conseguimento della pensione di anzianità, gli Ermellini ribadiscono che tale circostanza non integra una causa di impossibilità della reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, atteso che la disciplina legale dell'incompatibilità (totale o parziale) tra trattamento pensionistico e percezione di un reddito da lavoro dipendente si colloca sul diverso piano del rapporto previdenziale (determinando la sospensione dell'erogazione della prestazione pensionistica o il diritto dell'ente previdenziale alla ripetizione delle somme erogate), ma non comporta l'invalidità del rapporto di lavoro; invero, il diritto a pensione discende dai verificarsi dei requisiti di età e di contribuzione stabiliti dalla legge e non si pone di per sé come causa di risoluzione del rapporto di lavoro, sicché le utilità economiche, che il lavoratore illegittimamente licenziato ne ritrae, dipendono da fatti giuridici estranei al potere di recesso del datore di lavoro, non sono in alcun modo causalmente ricollegabili al licenziamento illegittimamente subito e si sottraggono per tale ragione all'operatività della regola della compensatio lucri cum damno (in termini Cass. n. 28824/2022 nonchè Cass. n. 8949/2020 e giurisprudenza ivi richiamata).