La prescrizione tributaria non preclude la confisca dei beni del reo

In presenza di reati tributari il profitto sequestrabile può riguardare anche eventuali imposte dovute per anni in cui il potere di accertamento dell’Amministrazione, in base alle norme fiscali, è decaduto. L’impossibilità per l’Amministrazione finanziaria di contestare la violazione tributaria per intervenuta decadenza è infatti del tutto irrilevante rispetto sia alla sussistenza del reato tributario, sia alla quantificazione del profitto confiscabile. A fornire questo rigoroso principio è la terza sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 4236 del 29 gennaio 2019. IL FATTO A seguito di approfondite indagini per una serie di reati tributari erano eseguiti alcuni sequestri finalizzasti alla futura confisca nei confronti di alcune persone fisiche e giuridiche. La misura cautelare era solo parzialmente riformata dal Tribunale del riesame e quindi gli interessati ricorrevano in cassazione per l’annullamento del provvedimento. Tra i vari motivi di impugnazione la difesa rilevava un errore nella quantificazione dell’imposta evasa, e quindi del profitto del reato a seguito del quale era scattato il sequestro preventivo. Secondo i ricorrenti, infatti, era stato ignorato che il periodo di imposta 2009 non poteva essere oggetto di accertamento tributario. Nella specie per tale anno era decaduto il potere di rettifica dell’Amministrazione in quanto i verificatori avevano presentato la notizia di reato nel corso del 2015 e quindi oltre i previsti termini. In particolare, per far scattare il raddoppio dei tempi di decadenza era necessaria la presentazione della denuncia entro il 31 dicembre del quarto anno successivo (nella specie entro il 31 dicembre 2014). Stante la tardività della notizia di reato, il raddoppio dei termini decadenziali non poteva scattare. Di conseguenza, la somma pretesa per questo periodo di imposta, quale profitto del reato, non era dovuta e pertanto non andava conteggiata nel valore da sottoporre a sequestro. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione non ha condiviso la tesi difensiva. Secondo i giudici di legittimità la confisca penale ha una sua precisa ed autonoma configurazione ed è indissolubilmente connessa al profitto del reato tributario per il cui soddisfacimento è predisposta la leva penale. In tale contesto, rileva la sentenza, è del tutto indifferente che l’obbligazione tributaria sia estinta, ovviamente per cause diverse dal versamento dell’imposta evasa. Solo, infatti, in presenza dell’esatto adempimento in sede tributaria si verificherebbe una duplicazione coattiva del prelievo e quindi il sequestro sarebbe privo di una causa giustificativa. In questa ipotesi la restituzione all’erario delle somme, e quindi del profitto del reato, farebbe venir meno lo scopo principale della confisca dovendosi escludere una duplicazione sanzionatoria. Differentemente, l’avvenuta decadenza dell’accertamento per un periodo imposta non incide né sulla configurabilità del reato tributario, né sulla determinazione del profitto confiscabile. La quantificazione è infatti parametrata al profitto del reato che non cessa di essere tale se la pretesa tributaria, in tutto o in parte, si è prescritta. Alcune riflessioni La decisione della Suprema Corte merita qualche riflessione: si ritiene, al riguardo, di evidenziare la differente rilevanza della decadenza del potere di accertamento tributario rispetto alla sussistenza del reato ovvero all’esecuzione del sequestro e quindi della confisca. Appare indubbio infatti che sia del tutto estranea ai fini della sussistenza del reato tributario. Innanzitutto, perché esiste il c.d. doppio binario nella quantificazione dell’imposta evasa con la conseguenza che, come pacificamente riconosciuto dalla giurisprudenza di legittimità, il calcolo svolto ai fini penali può anche differire da quello eseguito ai fini tributari. Poi vi è una questione di regole probatorie di ciascuno dei due procedimenti: differenti tra loro senza che gli esiti dell’uno, automaticamente, inficino l’altro. Si pensi al caso della rettifica tributaria basato solo per presunzioni: essa certamente può risultare valida e legittima in tale contesto ma, ai fini penali, è del tutto irrilevante. Al contrario, si pensi ad un accertamento dichiarato nullo per violazione delle regole sulla firma dell’atto piuttosto che per la notifica, che invece è ininfluente ai fini penali. Secondo la Cassazione però l’avvenuta decadenza del potere di accertamento tributario è ininfluente anche ai fini del sequestro e quindi della successiva confisca. Tuttavia, sembra che i giudici di legittimità non si siano confrontati con l’art. 14, D.Lgs. n. 74/2000 che prevede una circostanza attenuante in materia di reati tributari, in realtà nella pratica scarsamente applicata. Si tratta della riparazione dell'offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito tributario. In base a tale norma, se i debiti tributari risultano estinti per prescrizione o per decadenza, l'imputato può chiedere di essere ammesso a pagare, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, una somma, da lui indicata, a titolo di equa riparazione dell'offesa recata all'interesse pubblico tutelato dalla norma violata. Il giudice, sentito il pubblico ministero, se ritiene congrua la somma, fissa con ordinanza un termine non superiore a dieci giorni per il pagamento. Se il pagamento è eseguito nel termine, la pena è diminuita fino alla metà e non si applicano le pene accessorie. In sostanza vi è una disciplina ad hoc per i reati tributari allorché la pretesa fiscale si sia estinta anche per decadenza del potere di accertamento. Tuttavia, come nel caso della sentenza in commento, quando è stato eseguito un sequestro non si comprende in che modo il contribuente possa estinguere il debito tributario al fine di ottenere la revoca della misura o addirittura prevenirla. È indubbio, infatti, che l’interessato non potrà versare le imposte dovute (e non più pretese in virtù della decadenza) in quanto l’Amministrazione ha annullato (o non ha proprio emesso) l’atto impositivo. Ne consegue che l’imputato non avrebbe alcun mezzo a sua disposizione per estinguere il debito tributario se non subendo la confisca. Del resto, se la norma introduce delle regole speciali per la “riparazione dell’offesa nel caso di estinzione per prescrizione del debito tributario”, non si comprende perché - se il contribuente decida di “riparare” in quei termini - non possa ottenere anche effetti ai fini del sequestro e della confisca.

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La prescrizione tributaria non preclude la confisca dei beni del reo

E’ legittima la confisca dei beni dell’indagato per dichiarazione fraudolenta perché la prescrizione tributaria non ha effetti né sul reato fiscale né sulla determinazione del profitto sequestrabile

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