Il Consiglio Nazionale (CNDCEC) e la Fondazione Nazionale dei Commercialisti (FNC) hanno pubblicato un nuovo documento di ricerca da titolo “la rilevanza giuridica delle unioni paraconiugali nella partecipazione all’impresa familiare”. Il documento si pone l’obiettivo di analizzare la regolamentazione delle collaborazioni familiari introdotta dalla legge Cirinnà, soffermandosi in particolare sulla disciplina dettata dall’art. 230-ter c.c. per le prestazioni di lavoro rese dai conviventi more uxorio. Novità introdotte dalla legge Cirinnà La l. n. 76/2016 ha ampliato il perimetro del diritto di famiglia, istituendo e regolamentando le unioni civili per le coppie omosessuali e attribuendo maggiore rilevanza giuridica alle convivenze, sia dello stesso sia di diverso sesso. Accanto all’istituto del matrimonio sono stati tipizzati altri due modelli familiari dedicando loro un’ampia regolamentazione giuridica. La normativa interviene anche sul piano lavoristico disciplinando l’attività di lavoro svolta dall’unito civilmente e dal convivente more uxorio in favore della famiglia. In particolare, nell’impresa familiare si riconosce rilievo al lavoro oltre i confini della famiglia istituzionalizzata dall’art. 29 Cost., differenziando il regime giuridico dell’unione civile da quello della convivenza more uxorio. Infatti, la legge Cirinnà prescrive la diretta applicazione alle unioni civili delle disposizioni riguardanti il matrimonio, mentre ai rapporti stabili di convivenza destina una disciplina specifica e più leggera raccolta nell’art. 230-ter c.c. Convivenze more uxorio La legge Cirinnà quindi non estende al convivente lo stesso statuto protettivo previsto dall’art. 230-bis c.c., ma in linea con la differenziazione giuridica dei modelli familiari si limita all’attribuzione di alcuni diritti patrimoniali. Per l’appunto la norma esclude ogni ulteriore diritto amministrativo e gestionale, omettendo di disciplinare le ipotesi di esclusione, alienazione, recesso e liquidazione della quota di partecipazione. In particolare, al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Mentre i profili lavoristici della disciplina si mostrano lacunosi, avendo il legislatore omesso ogni espresso riferimento all’inquadramento previdenziale, assicurativo e fiscale del rapporto. Dal punto di vista soggettivo la norma si applica ai soli conviventi individuati dalla stessa legge, che definisce conviventi di fatto “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. Dal punto di vista oggettivo si presuppone che il convivente presti “stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente”. Tutela previdenziale e i risvolti fiscali Nella legge Cirinnà, però, non si rinviene alcuna previsione circa la disciplina delle assicurazioni sociali dei conviventi more uxorio, anche se in ossequio al principio universalistico che informa il sistema di tutela previdenziale, ai collaboratori dell’imprenditore convivente non può essere negata protezione sociale. Sul punto l’Agenzia delle Entrate interpellato in ordine all’individuazione del regime fiscale applicabile alle collaborazioni ex art. 230-ter c.c., ha confermato la qualificazione dei redditi conseguiti dal convivente come redditi di partecipazione all’impresa familiare. Diversamente appare certa la comprensione del collaboratore dell’imprenditore convivente nell’ambito della assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Infatti, la Corte Costituzionale si è pronunciata diverse volte sull’estensione della copertura assicurativa anche in favore dei familiari partecipanti all’impresa familiare di cui all’art. 230-bis c.c. e agli associati in partecipazione con apporto di lavoro manuale. L’analisi fornita dal documento evidenzia come in assenza di soluzioni condivise, limitatamente ad alcuni profili, sarà inevitabile un intervento integrativo del legislatore finalizzato a dissipare le incertezze interpretative sulla qualificazione del rapporto di collaborazione e sull’inquadramento della fattispecie in ambito previdenziale e fiscale.