L’appaltatore che non esegue i lavori restituisce al condominio il 10% del bonus facciate

Quando l'impresa incaricata di eseguire i lavori agevolabili con il bonus facciate non dà avvio agli stessi, sorge l'obbligo di restituire le somme già percepite. Ciò soprattutto se alla ditta è stata inviata dal committente la diffida ad adempiere entro una certa data, passata inutilmente la quale il contratto d'appalto si risolve di diritto. Non sono dovute, invece, le penali da ritardo se la data di fine lavori concordata non è ancora giunta. A stabilirlo è la sentenza n. 3756 del 2 ottobre 2023, emanata dal tribunale di Torino, che ha risolto la controversia attivata nei confronti di un'azienda edile inadempiente da parte di un condominio, che tuttavia non risulta aver chiesto al giudice la liquidazione dei danni consistenti nel mancato accesso al bonus, ormai scaduto. IL FATTO La vicenda sorge nell'aprile del 2021, quando il condominio incaricava l'impresa di realizzare le opere approvate in assemblea, con bonus facciate (la detrazione per il recupero o il restauro delle facciate esterne introdotta dalla legge di bilancio 2020, ovvero la legge n. 160/2019) ai tempi vigente con aliquota al 90%. Si ricorda che detta agevolazione fiscale è ad oggi scaduta, essendo stata prorogata solo fino al 31 dicembre 2022 e con percentuale di detrazione ridotta al 60%. A dicembre dello stesso anno, dunque, veniva stipulato il contratto d'appalto, in conformità del quale il condominio versava all'impresa una somma pari al 10% dell'importo dei lavori e quanto dovuto per le asseverazioni tecniche necessarie ad accedere al bonus. A fine gennaio del 2022, però, i lavori non erano ancora iniziati, e il condominio inviava dunque alla società una pec, intimandola ad adempiere entro i successivi 15 giorni, decorsi inutilmente i quali il contratto si sarebbe risolto, come previsto dall'art. 1454 c.c. Non essendo valsa a nulla detta intimazione e dopo una serie di ulteriori solleciti, il condominio chiamava in causa la ditta, chiedendo al tribunale se la risoluzione del contratto fosse legittima e, in caso affermativo, la condanna della costruttrice al riversamento del 10% già pagato, nonché delle penali da ritardo maturate in base alle previsioni del contratto stesso. LA DECISIONE DEL TRIBUNALE DI TORINO Il giudice di Torino accoglie la domanda in parte. Infatti, nella sentenza, la convenuta non ha in alcun modo provato il proprio esatto adempimento, rendendosi senza dubbio legittimo l'esercizio del recesso e la conseguente risoluzione del contratto. Da ciò l'obbligo dell'azienda di pagare gli importi “a titolo di restituzione delle somme corrisposte”. Non spettano al condominio, invece, le penali da ritardo, posto che “il contratto prevede per l'ultimazione dei lavori il termine del 30.7.2022, così che appare infondata la richiesta di una penale che sarebbe maturata in un periodo antecedente sia al termine pattuito per l'ultimazione, sia all'esercizio del recesso”. Nel caso di specie, tuttavia, il condominio non ha chiesto il risarcimento, seppure la disciplina generale sull'inadempimento dei contratti rende la pretesa legittima. Pertanto, il giudice non si è potuto esprimere, ma è ragionevole immaginare che in una simile situazione, l'impresa può essere chiamata a corrispondere a titolo di danno emergente la differenza tra l'importo pattuito e quello inerente al nuovo contratto con altri, se più oneroso (tribunale di Bologna, sentenza 2812/2010). Si può presumere che il condominio istante abbia desistito dal realizzare le opere, ma se invece avesse scelto di incaricare una nuova impresa, avrebbe probabilmente sopportato un prezzo più alto patendo un danno che l'inadempiente avrebbe dovuto coprire.

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Se l'appaltatore non esegue interamente l'opera trova applicazione la disciplina generale sull'inadempimento del contratto

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