Il principio del ne bis in idem opera anche in materia di misure cautelari, seppur con gli adattamenti imposti dalla peculiarità dei profili processuali, e ha condotto all’elaborazione giurisprudenziale del concetto di “giudicato cautelare”, nonché all’individuazione di un sistema di preclusioni tese a garantire la razionalità del sistema normativo. Il divieto del “doppio giudizio” è finalizzato a impedire lo svolgimento di una pluralità di procedimenti basati sul medesimo fatto storico, tenendo conto che in materia di sequestro preventivo tale divieto concerne non già la mera identità del fatto, bensì l’identità degli elementi già valutati in occasione della precedente iniziativa cautelare. Ne consegue che detto principio non risulta violato in presenza di nuovi elementi di valutazione, conseguenti al sopravvenire di sviluppi delle indagini come al successivo emergere di circostanze verificatesi prima della deliberazione del giudice della cautela ovvero di quello del riesame, ma non conosciute né valutate. In altre parole – precisa la sentenza n. 23729 depositata il 31 maggio 2023 dalla Corte di Cassazione penale – il principio del ne bis in idem cautelare non è ostativo alla reiterazione del sequestro preventivo nel caso in cui questo intervenga su beni in relazione ai quali il vincolo reale sia stato già disposto, quando il nuovo decreto si fondi su di un’esigenza cautelare diversa da quella inizialmente ipotizzata ovvero qualora l’autorità procedente sia chiamata a valutare elementi precedentemente non esaminati (cfr. anche Cass. n. 24963/2015). Allo stesso modo può essere ordinato nuovamente il sequestro sia nel caso di nuovo provvedimento fondato sulla base di un titolo di reato diverso da quello inizialmente ipotizzato, sia di annullamento del precedente provvedimento pronunciato per ragioni non incidenti sul giudizio di sussistenza del fumus commissi delicti e non comportanti il riesame nel merito di elementi che siano stati ritenuti in precedenza insussistenti o insufficienti. Nel procedimento esaminato dalla sentenza in commento, era stato ordinato il sequestro a fronte della contestazione del reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una pluralità di delitti di frode fiscale, attraverso l’emissione e l’utilizzo da parte di una srl – unipersonale ma gestita di fatto da soggetti appartenenti al mede simo nucleo familiare – di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, a partire dal 2009 fino al 2015. Nello specifico, la srl, che si occupava di commercio all’ingrosso di bevande alcoliche, si sarebbe avvalsa di fatture false emesse da diverse società, indicandole nelle dichiarazioni annuali IVA: secondo l’ipotesi d’accusa, grazie a tale operazione la società avrebbe conseguito un illecito vantaggio patrimoniale, derivante dall’aver detratto indebitamente dall’imposta dovuta per le annualità considerate gli importi relativi alle operazioni in questione. Il procedimento era già arrivato davanti alla Cassazione nel 2021 e, in sede di rinvio, era stato ordinato un nuovo e ulteriore sequestro preventivo nei confronti degli indagati per l’importo di più di 700.000 euro. Non si tratta, tuttavia, di una mera duplicazione della misura cautelare in quanto – in linea con i principi sopra ricordati – quest’ultimo sequestro teneva conto di un’attività di acquisizione e di analisi della documentazione contabile relativa alle aziende coinvolte nel sistema illecito da cui era derivato un calcolo più preciso e puntuale del profitto del reato. Nelle motivazioni si legge altresì che, in tema di reati tributari, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto nei confronti del legale rappresentante di una società solo nel caso in cui, all’esito di una valutazione allo stato degli atti sullo Stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nel patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo necessaria, tuttavia, ai fini dell’accertamento di tale impossibilità, l’inutile escussione del patrimonio sociale se già vi sono elementi sintomatici dell’inesistenza di beni in capo all’ente. Nel caso di specie, già in occasione dell’esecuzione dell’originario sequestro preventivo disposto nei confronti della srl, i beni nella disponibilità della società si erano dimostrati insufficienti a soddisfare le ragioni della misura cautelare, comportando la sottoposizione a vincolo dei beni personali dell’amministratore unico; la cui cessazione della carica risulta dunque del tutto irrilevante.