Sì all’ipoteca iscritta sui beni protetti da un fondo patrimoniale, qualora non si comprovi l’estraneità del debito contratto rispetto ai bisogni della famiglia e non si dimostri la conoscenza delle menzionate circostanze da parte del creditore. A fornire questa precisazione è la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 19758 del 23 luglio 2019. Il collegio di legittimità, richiamando la precedente sentenza n. 4011/2013, ha sancito che i presupposti di applicabilità (articolo 170 del Codice civile), ai fini dell’esclusione dalla pignorabilità dei beni costituiti in un fondo patrimoniale, devono essere necessariamente dimostrati provando che il debito per il quale il creditore intende procedere è stato contratto per scopi avulsi dai bisogni della famiglia e che il soggetto procedente era a conoscenza di tale estraneità. In relazione ai debiti di natura tributaria, è necessario accertare, al fine di valutare l’aggredibilità dei beni costituiti nel fondo patrimoniale, la riconducibilità o meno del debito alle esigenze della famiglia. Secondo i giudici di legittimità tale criterio identificativo non va ricercato nella «natura dell’obbligazione ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia, sicché anche un debito di natura tributaria sorto per l’esercizio dell’attività imprenditoriale può ritenersi contratto per soddisfare tale finalità, fermo restando che essa non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, dovendosi accertare che l’obbligazione sia sorta per il soddisfacimento dei bisogni familiari (nel cui ambito vanno incluse le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’univoco sviluppo della famiglia) ovvero per il potenziamento della capacità lavorativa, e non per esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi» (Cassazione, ordinanza 3738 /2015). Il tema assume una valenza particolare con riferimento al reddito d’impresa e di lavoro autonomo, essendo queste le due categorie generalmente assoggettate a controlli di merito approfonditi che generano un rilevante contenzioso e un significativo inadempimento. Come criterio di carattere generale, secondo taluni orientamenti, non vi è motivo per ritenere che debbano essere considerati estranei ai bisogni della famiglia i debiti afferenti l’attività di lavoro dei coniugi, ivi compresi quelli di natura fiscale e previdenziale, allorquando da tale attività la famiglia tragga i mezzi di mantenimento in ragione della destinazione degli utili anche e soprattutto al soddisfacimento delle esigenze familiari. Tuttavia non è difficile comprendere il pensiero della dottrina che, dopo aver evidenziato come l’ampliamento del concetto di bisogno familiare da parte della giurisprudenza non possa ricomprendere i debiti tributari, ha osservato che il prelievo tributario, anche se riguardante imposte reddituali, è assolutamente in contrasto con i bisogni della famiglia. In sostanza, è innegabile che il prelievo fiscale incida negativamente sulla ricchezza disponibile della famiglia, destinata a soddisfarne le differenti esigenze, e pertanto, qualora si verifichi quest’ultima circostanza, il prelievo e il debito tributario risultano essere necessariamente configgenti e, di conseguenza, il fondo patrimoniale non può essere posto a tutela di quei debiti, tra i quali rientrano quelli tributari, che incidono negativamente sul soddisfacimento dei bisogni del nucleo familiare.