L'Amministrazione finanziaria può procedere mediante un accertamento analitico-induttivo (articolo 39 del Dpr 600/1973), verificando il consumo di guanti monouso utilizzati dal professionista per lo svolgimento dell’attività di odontoiatra, considerata la sussistenza di una correlazione tra il materiale di consumo impiegato e gli interventi effettuati sui pazienti. A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 23956 del 25 settembre 2019. La Suprema corte in precedenza (30782/2018) aveva affermato la sussistenza di tale connessione rappresentando, il consumo unitario di prodotti monouso così come il numero degli stessi, un fatto noto in grado di far ragionevolmente presumere la numerosità delle prestazioni effettivamente eseguite dal professionista ai fini della ricostruzione dei compensi percepiti e di andare a supportare, di conseguenza, una procedura di accertamento analitico-induttivo. Risulta pertanto legittimo il recupero a tassazione dei ricavi ricostruiti induttivamente in capo a un dentista qualora l’impiego in prestazioni d’opera possa desumersi dall’esistenza di documentazione di acquisto in quanto non occorre che, tra il fatto noto e quello ignorato, vi sia un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che la circostanza da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile secondo un criterio di normalità e, pertanto, che il rapporto di dipendenza logica, tra il fatto noto e quello ignorato, venga accertato alla stregua di canoni di probabilità, con riferimento a una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possano verificarsi seguendo regole di esperienza. Nel contesto delle attività professionali è stato pertanto riconosciuto che, ai fini della ricostruzione del reddito di lavoro autonomo, l’Ufficio ha la facoltà di procedere con un accertamento analitico-induttivo muovendo dalla verifica del consumo di guanti monouso utilizzati dal contribuente per la sua attività di odontoiatra, considerato che sussiste una correlazione tra il materiale di consumo utilizzato e gli interventi effettuati sui pazienti (Cassazione 30782/2018), legittimando in questo modo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo agli articoli 39, comma 1, lettera d, del Dpr 600/1973 e 54, comma 2, del Dpr 633/1972 sulla base delle riscontrate anomalie e incongruenze tra i compensi dichiarati e le caratteristiche dell’attività (articolo 62-sexies, comma 3, del Dl 331/1993), anche in considerazione dell’eventuale antieconomicità del comportamento del contribuente, nonché dell’irragionevolezza dei risultati emergenti dalle scritture contabili, per quanto formalmente corrette. Uno scenario analogo è stato rappresentato anche nell’ordinanza della Cassazione 3290/2019 con la quale il collegio di legittimità si è occupato di un odontoiatra sottoposto ad accertamento senza tuttavia utilizzare gli acquisti di materiali di consumo o di determinati prodotti per rideterminare i compensi conseguiti dal professionista, limitandosi a considerare il tempo specificamente dedicato all’attività professionale. L’Ufficio, in tale contesto, si era avvalso delle dichiarazioni del contribuente in merito al numero di giornate dedicate allo svolgimento della professione nel corso dell’anno e al numero medio di prestazioni giornaliere effettuate. Dalla comparazione fra le risultanze scaturenti da tali dichiarazioni e le fatture emesse del professionista, i verificatori hanno effettuato una ricostruzione indiretta dei compensi e, di conseguenza, hanno rideterminato le prestazioni complessivamente eseguite nel corso dell’annualità oggetto di verifica e il totale degli introiti presumibilmente percepiti, superando quanto formalmente rappresentato dal contribuente nelle scritture contabili e nelle dichiarazioni trasmesse.