Con l’ordinanza n. 5080 depositata il 21 febbraio 2019, la Corte di Cassazione ha ribadito che l’accertamento di un maggior reddito, derivante dalla cessione di beni immobili non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene, quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. L’ufficio, nella specie, contestava ad una impresa la sottofatturazione della vendita di alcuni immobili che, oltre ai differenti valori OMI, si basava anche su altri elementi. IL FATTO L’Ufficio notificava ad una Srl un avviso di accertamento per maggiori IRES, IRAP ed IVA, con il quale era stato rideterminato il reddito di impresa e disposto il recupero a tassazione di ricavi non dichiarati in ragione della sottofatturazione di sei cessioni di immobili. La contribuente impugnava con ricorso l’atto impositivo. In primo grado, i giudici accoglievano parzialmente la domanda di annullamento relativa all’avviso di accertamento, rideterminando il reddito d’impresa. L’Ufficio proponeva appello, accolto dalla CTR. La società proponeva appello incidentale, rigettato. La impresa proponeva così ricorso per Cassazione, eccependo innanzitutto, l’omessa pronuncia dei giudici sul motivo di appello incidentale con il quale si era dedotta la nullità dell’avviso di accertamento per vizio di motivazione, per l’utilizzazione da parte dell’Ufficio, dei valori OMI, che non erano stati allegati all’atto impugnato. Inoltre, lamentava l’insufficienza della motivazione con riferimento alla valutazione degli elementi indiziari attestanti i maggiori ricavi in capo alla società. Per ultimo, la contribuente eccepiva la illegittimità delle sanzioni irrogate senza previo accertamento dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa. LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso. In primo luogo, la Suprema Corte precisa che in seguito alla sostituzione, dell’art. 39 del Dpr. n. 600/1973 ad opera della legge n. 88/2009, avente effetto retroattivo, è stata eliminata la presunzione legale relativa di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al valore normale degli stessi. Di conseguenza, l’accertamento di un maggior reddito derivante dalla predetta cessione, non può essere fondato soltanto sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore normale del bene, quale risulta dalle quotazioni OMI, ma richiede la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti. La C.T.R. aveva dunque, correttamente ritenuto che l’atto impositivo fosse congruamente motivato sulla base di plurimi indizi, indipendenti e ulteriori rispetto ai dati OMI. Per quanto concerne l’insussistenza di indizi gravi precisi e concordanti, con riferimento ai presunti maggior ricavi della società a seguito della sottofatturazione contestata, che la contribuente lamentava non essere stata considerata dai giudici del gravame, la Suprema Corte, rileva come tale doglianza, nel giudizio di legittimità non possa essere oggetto di nuovo esame, risolvendosi i motivi di ricorso in inammissibilità perché relativi alla valutazione delle prove e all’accertamento dei fatti, sui quali la Corte non ha il potere di pronunciarsi. Quanto alle sanzioni comminate, la Corte, infine ricorda che in tema di sanzioni amministrative ai fini dell’affermazione di responsabilità del contribuente, sia sufficiente una condotta cosciente e volontaria senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa da parte del contribuente. Nella specie, la sottofatturazione è una condotta di per sé cosciente e volontaria che non esige ulteriore motivazione.